L'enoteca che mangia alle nostre spalle

mercoledì 5 settembre 2012


Sarebbe oltremodo noioso rammentare al lettore tutte le vicende che portarono gli enti di sviluppo agricolo a sopravvivere, e sia all’anomalo fallimento della Federconsorzi che al referendum che chiedeva lo scioglimento del ministero dell’Agricoltura. Un referendum che, diciamolo una volta per tutte, reputava si potesse mettere fine a due binari di malaffare politico: la cooperazione agricola e, soprattutto, gli “enti di sviluppo agricolo”. Ma la vecchia Diccì era tanto previdente, già dalla nascita degli enti regione aveva man mano armato quelle deleghe che permettevano al carrozzone dello “sviluppo agricolo” di passare sotto l’egida degli enti locali (vale a dire Regioni e Province).

Passato lo spauracchio dello scioglimento del Ministero dell’Agricoltura, a cui venne cambiato il nome in Politiche agricole (solo per accontentare l’esito referendario che ne aveva promosso la chiusura), gli “enti di sviluppo agricolo” si moltiplicarono in enoteche provinciali e regionali, centri per l’assaggio dei prodotti tipici, simposi per la degustazione... insomma un vero esercito di parassiti che banchetta alle spalle di contribuenti ed agricoltori tutti. E non c’è festa di partito che non s’avvalga della sponsorizzazione di queste strutture che, come da vecchia tradizione democristiana, intrattengono nelle pause pranzo i tesserati (soprattutto dei partiti centristi, ma anche d’una certa sinistra democratica). Si potrebbe mai negare  al personale politico e parapolitico la degustazione dei prodotti della loro amata terra? Così fiumi di salsicce, caciocavalli, prosciutti, vini, piatti tipici, olii... finisce tra le fauci di queste boccaccesche compagnie di giro.

L’Italia tutta pullula di enoteche provinciali e regionali, e se la crisi morde l’uomo di strada, di contro la dispensa degli enti locali è ancora piena. Così nella Capitale insistono sia l’enoteca della Regione Lazio che quella della Provincia di Roma. L’Enoteca Provinciale gode di veduta mozzafiato sui “Fori imperiali”, sulla colonna che narra i fasti traianei. A gennaio 2012 la gestione dell’Enoteca della provincia di Roma è stata affidata alla Architype snc di Cristina Cardinali, con sede legale a Roma al civico 3 di via Isole Eolie. Ma il vero deus ex machina sarebbe tale Paolo Meglio, già gestore dell’Enoteca Regionale del Lazio durante l’era Marrazzo. L’Enoteca Provinciale riceve circa 200 mila euro annui dalla Provincia di Roma, e per organizzare qualche vetrina enogastronomica. Il resto dei proventi dovrebbe derivare da turisti e viandanti di passo. Ma difficilmente i tavoli rimangono liberi. Anzi pare siano quasi sempre appannaggio di vip della sinistra e dello spettacolo in vicendevole convivio: non è certo un mistero che la sede nazionale del Partito democratico insista a pochi passi dall’Enoteca. E si sa che i democratici emiliani, marchigiani e laziali non sono certo persone aduse a manducare tra fast food e paninazzi. E lo sa bene Paolo Meglio che, da anfitrione dell’era aurea di Marrazzo, si trovò a gestire l’Enoteca Regionale: l’operazione ebbe a tal punto successo che, con i favori della Luna, il Meglio se la diede a gambe levate nottetempo, dimenticando di pagare fornitori e dipendenti. Centinaia tra agricoltori, vinai e panificatori di tutto il Lazio bussarono per mesi alle casse della Regione Lazio che, da buon ente all’italiana, li invitava a rivolgersi al gestore dell’enoteca, vincitore d’un regolare bando di concorso. Ma del Meglio non c’era traccia, e non poteva andare peggio di così. «Ho portato all’enoteca caciotte e torroni - ci confessa un agricoltore di Frosinone -, ma che vi devo dire, questi sono peggio dei teatranti: ci hanno illuso e poi hanno svuotato la dispensa senza pagarci il dovuto». Non sarebbe andata meglio a due fornitori di vini come ad un produttore di salumi. Ed ai dipendenti non pagati veniva persino impedito di piluccare qualche pezzo di formaggio accompagnato da una fettina di salame e di pane.

Tanto basta. Ma da circa un anno il Meglio fa amministrare dalla società Architype l’Enoteca Provinciale che, come da copione rodato, in tutti questi mesi non ha pagato sia i fornitori che gli stipendi ai dipendenti. Anzi, alcuni fornitori avevano portato i loro prodotti all’Enoteca Provinciale solo perché si fidavano dei dipendenti, ma se la sono data a gambe apprendendo che aleggiava la gestione Meglio. Così ad Agosto è scattata la vendetta parapolitica. L’Enoteca ha chiuso per ristrutturazione, contemporaneamente l’Architype ha licenziato tutti e dodici i dipendenti senza pagare loro nemmeno l’ombra d’un euro bucato. Contemporaneamente è decollata l’assunzione di altri dipendenti ignari delle metodiche aziendali: 12 ore di lavoro quotidiano a fronte d’un compenso evanescente. Eppure alcune fonti interne all’Ente Provincia di Roma avvalorano che ci sarebbero state denunce all’Ufficio Provinciale del Lavoro, come ad Asl e Nas per chiare inadempienze burocratiche della gestione di derrate alimentari (tutto sano e fresco, ma registrato con fretta e confusione). Una macchia nera per l’adamantino presidente Zingaretti, uomo nuovo e pulito della sinistra romana e laziale. Infatti il Pd (partito di riferimento del presidente) s’è sempre erto a paladino dei diritti dei lavoratori come della corretta gestione amministrativa.

È il caso che la Provincia di Roma metta ordine in cantina, dove s’annida una società che non paga i lavoratori e gestisce alla carlona i rapporti fiscali con i fornitori. Fino ad oggi una sorte di botte di ferro ha garantito l’Enoteca della Provincia di Roma, perché qualche alto dirigente dello stato avrebbe lasciato intendere che «le amministrazioni di sinistra non compiono mai irregolarità, soprattutto a Roma». Ma anche a Bologna tutti avrebbero messo una mano sul fuoco, certi di non perderla, sicuri che mai un amministratore della sinistra bolognese avrebbe potuto rubare in un ente pubblico: il caso di Flavio Delbono, che successe a Cofferati alla guida del capoluogo emiliano, ha dimostrato che anche un ortodosso della sinistra può spendere il danaro pubblico con le amanti. Certi dell’onesta di Zingaretti, si stenta a comprendere perché il genuino e nerboruto presidente non abbia ancora chiuso l’Enoteca provinciale e provveduto a liquidare con il giusto compenso lavoratori e fornitori.

Si mormora che il presidente della Provincia eviti di frequentare l’Enoteca dell’Ente: strategia, voglia di mantenersi lontano dalle tentazioni della gola, timore di rimanere invischiato nelle Meglio trame? Secondo le voci di palazzo sarebbe stata Daniela Valentini, già assessore all’Agricoltura durante la giunta Marrazzo, ad introdurre Paolo Meglio presso la corte della Provincia di Roma. Il biglietto da visita sarebbe stato mozzafiato. Il Meglio gestiva da pochi giorni l’Enoteca, quando verso la mezza si presentava l’intero stato maggiore del Pd, capitanato dall’inossidabile Fioroni. Subito il gestore indossava i panni dell’anfitrione, e con sguardo degno della commedia di Plauto serviva personalmente i commensali e lasciando intendere di saperla fin troppo lunga sui bocconi graditi a chi sa far politica. E mentre la spending review morde l’uomo qualunque, nelle enoteche degli enti locali non mancano mai cibarie per il sottobosco della politica.


di Ruggiero Capone