martedì 4 settembre 2012
La crisi non è finita. Ce lo ricordano i dati Istat sull’occupazione, ancora in calo, quelli sul mercato dell’auto e le stime di Confcommercio sui consumi, nel 2012 calo del 3,3% con possibile chiusura di 150 mila attività commerciali. A settembre, dunque, si torna a fare sul serio ed è l’ora delle decisioni. I mercati sono in attesa di verificare i meccanismi di stabilità finanziaria che l’Europa si è impegnata a mettere in campo. Per quanto riguarda l’Italia, il governo è chiamato a fissare l’agenda per mettere a frutto i suoi ultimi mesi e a decidere sulla richiesta di aiuti Ue, mentre in vista delle elezioni del 2013 il mondo politico deve cominciare a dare risposte credibili per il dopo-Monti.
In particolare, chi è interessato a evitare un governo Bersani-Fassina-Vendola deve darsi una mossa, per offrire al paese un’alternativa credibile. La situazione appare molto simile a quella del ‘93-’94: c’è una gioiosa macchina da guerra che non vede l’ora di mettere le mani sull’intero bottino; gli italiani provano nausea per i vecchi partiti e non si fidano di Bersani, l’Occhetto dei nostri giorni; il 40% circa dell’elettorato si dichiara indeciso e una grossa fetta è in attesa di un’offerta politica nuova. Solo che non si profila all’orizzonte un leader con una sufficiente capacità d’aggregazione, come fu Berlusconi nel ‘94.
Il Pdl non è riuscito a rilanciarsi e il tempo sta scadendo. Qualche timido passo l’ha mosso nelle settimane scorse, ma troppo poco. È immobile e continuamente risucchiato nell’eterno tramonto del suo leader, caratterizzato dall’indecisionismo su tutto: candidatura, sostegno a un Monti-bis, legge elettorale, linea economica, politica europea. Casini ha già avuto dimostrazione alle amministrative che i voti in uscita dal Pdl difficilmente prendono la strada dell’Udc. Il suo piano di sostituirsi a Berlusconi come federatore di una rinnovata area moderata e di centro non sembra avere molte chance. Rischia di restare appeso ad un 6-7%, non sufficiente per determinare rivoluzioni nel campo moderato. Poi ci sono i “nuovi” – Grillo, Italia Futura e i liberisti di “Fermare il declino” – che giustamente rifiutano di accompagnarsi ai “vecchi” e puntano non all’ennesimo partitino, ma a rappresentare un’offerta politica maggioritaria, almeno nel loro campo. Tradotto in voti: almeno un 20%.
Sono tutti in corsa per lo stesso settore dell’elettorato: quello deluso dal centrodestra berlusconiano ma che rifiuta di “buttarsi” tra le braccia della sinistra-sinistra di Bersani. Tutti rischiano di fallire: i primi due perché percepiti come “vecchi”, i “nuovi” perché potrebbero apparire movimenti dagli ottimi propositi ma troppo elitari, intellettuali. Da una parte è comprensibile, e positivo, che ciascuno voglia giocare la sua partita; dall’altra il rischio è che nessuna di queste offerte ottenga il consenso necessario a imporsi come forza egemone. Il liquefarsi, o l’eccessiva frammentazione dell’offerta politica nel campo del centrodestra rischia di spianare la strada all’esito che davvero in pochi nel paese si augurano – praticamente il solo Bersani, che si crede l’Hollande italiano.
Uniti o divisi questi soggetti dovranno saper mobilitare il blocco elettorale dell’ex centrodestra, per determinare almeno le condizioni per un Monti-bis che ci salvi da una deriva greca.
di Federico Punzi