Solidali con il Colle, ma a parole

sabato 1 settembre 2012


Non c’è questione politica, legislativa, sociale, economica, ambientale nella quale l’Anm, il partito unico dei magistrati, non dica la sua. Forse chiederanno i rimborsi elettorali per le campagne di sensibilizzazione e di informazione ai cittadini destinatari delle loro opinioni non richieste, anzi inopportune.

Un progetto o un disegno di legge, una iniziativa politica, economica, una riforma, loro lo bocciano, decapitano il proponente, scrivono la controriforma. L’Italia è governata dalla dittatura delle procure, senza se e senza ma, mentre lamentano di essere delegittimati, di trovarsi in solitudine. Qualcuno vuole rivolgersi legittimamente alla Corte Costituzionale e loro ne giudicano l’opportunità, qualche altro ha l’ardire di criticare l’operato dei magistrati e loro lo etichettano come il nemico dello Stato, come l’ostacolo all’accertamento delle verità.

Hanno attaccato il Capo dello Stato? No, hanno semplicemente applicato la legge. Qualcuno si vuole difendere? È di ostacolo all’azione del Magistrato. Da oltre 40 anni l’oligarchia delle procure deliberatamente deborda dal territorio di competenza per occupare spazi di altri poteri, violandone l’indipendenza. Dettato i tempi e i modi della azione politica, condizionano l’agenda del governo del paese a suon di avvisi di garanzia. Come da copione, la stella polare delle sinistra progressista, il Presidente emerito della Consulta, Gustavo Zagrebelsky, prontamente seguito dall’Anm, ha emesso il verdetto contro la richiesta, avanzata alla Corte Costituzionale dal Quirinale per conflitto di attribuzione nei confronti della Procura della Repubblica di Palermo (nell’ambito dell’inchiesta sulla trattativa tra Stato e mafia, magistrati titolari del fascicolo il procuratore aggiunto Antonio Ingroia, e i sostituti Lia Sava, Nino Di Matteo, e Palermo Guido) per le decisioni che questa ha assunte su intercettazioni di conversazioni telefoniche del Capo dello Stato.

Ci ha deliziato con un dotto intervento il Presidente Zagrebelsky, parlandoci di eterogenesi dei fini. Sfugge al monumento vivente della sinistra pensante l’elevata potenzialità distruttiva delle decisioni della Procura della Repubblica di Palermo, che ha assunto sulle intercettazioni delle conversazioni telefoniche del Capo dello Stato, i cui protagonisti hanno marcato, senza limiti, lo scopo personale di apparire, ammantandosi da eroi senza macchia e senza paura per il bene dei cittadini, ci quali però hanno dei magistrati una considerazione vicina allo zero (16%).

Un poco edificante déjà vu. Integerrimi magistrati poi tracimati in politica, verso la quale hanno vomitato il più alto disprezzo. Magistrati che esercitano la funzione giudiziaria con arroganza, con punte di megalomania, terrorizzando i difensori, forti del potere di decidere. Impartiscono lezioni calpestando la reputazione e l’onore degli altri operatori del diritto. Affermare l’isolamento morale e l’intimidazione dei magistrati è una impertinente falsità. Dissimula l’Uomo Colto che i simulacri dell’indipendenza della Magistratura e della obbligatorietà dell’azione penale possono tradursi in un forte potere discrezionale, che esercitato da qualche ben intenzionato giovanotto/a, preso dal furore dell’onnipotenza, lo spinga a commettere veri e propri abusi.

Non dice che magistrati di spicco, facendo finta di essere integerrimi, con operazioni ad alta risonanza, utilizzando visibilità a basso costo, cercano un successo pur che sia, deciso dai titoli dei giornali, per poi  sedersi in parlamento, nel governo, negli enti locali. Omette di segnalare che sono pendenti 10 milioni di processi e 20 milioni di cittadini della Repubblica attendono una risposta e quando giunge è fuori tempo massimo. Tralascia di evidenziare che non tutti i magistrati sono eccellenti, saggi, colti, equilibrati, preparati. Che forse non sono molti coloro che hanno radicato il senso della Giustizia, che sono portatori sani della cultura della tolleranza, che sono  consapevoli della inadeguatezza degli strumenti di accertamento della verità.

Cela che i magistrati si giudicano da soli: controllori e controllati sono sempre magistrati. Oblia che i magistrati non sono immuni da responsabilità, che come in tutte le categorie esistono aspetti e situazioni poco nobili e che se l’amministrazione della giustizia è al capolinea forse qualche responsabilità debba essere ascritta anche ai magistrati. Non dice che i magistrati non sono impegnati a rimuovere il volto opaco della Giustizia, a ristabilire la fiducia dei cittadini in una Giustizia sfigurata, polverizzata, azzerata da decenni di fallimenti, di inutili convegni, dibattiti, relazioni, documenti, programmi.

Tace sulla illegittima pretesa dei magistrati di scrivere le leggi della Repubblica, oltre che applicarle. Sorvola su tutto questo ed anche che la lotta alla mafia è ricca di tante belle parole, di singole azioni silenziose di coraggiosi servitori della Patria e di squillanti attori che poco raccolgono sul versante della contrapposizione al fenomeno mafioso e molto sul versante della visibilità e del clamore. Mai nessuno ha ostacolato le inchieste della magistratura, salvo i criminali, uccidendo eroici inquirenti. I magistrati sono il vero potere: i politici ne hanno paura, i cittadini tremano quando un fascicolo va in mano ad un magistrato. Si delegittimano da soli, assumendo comportamenti non esemplari, con l’alibi di colleghi morti per mano della mafia.

Dopo aver causato un danno irreparabile alla più alta istituzione della Repubblica italiana, dichiarare la solidarietà è una operazione di falsa retorica, di millantato rispetto, di penosa ipocrisia. 


di Carlo