venerdì 31 agosto 2012
Con il finire del caldo è rispreso il grande risiko in campo Democratico. L’autunno sarà foriero di scelte potenzialmente dolorose per i vertici del Pd. Alle porte una campagna elettorale per le primarie che vedrà confrontarsi il segretario Pierluigi Bersani, il sindaco di Firenze Matteo Renzi e il leader di Sel Nichi Vendola (al netto della presenza di quarti incomodi. In queste ore circola con insistenza il nome del rutelliano Bruno Tabacci). Chiusa quella partita, rimarrà sul piatto il tema delle alleanze. Tra i vendoliani e i centristi dell’Udc il senatore piddino Giorgio Tonini, sponda veltroniana, ha pochi dubbi: «Il rischio è quello di ripetere l’esperienza del 2006. In quell’occasione mettemmo insieme istanze troppo disomogenee, ed è noto a tutti come andò a finire».
Vede all’orizzonte un pericolo-Vendola?
Non è un mistero che il segretario di Sel sostenga da mesi che occorre fare una dura opposizione nei confronti di questo governo. Chi come me è convinto che l’agenda Monti sia un patrimonio, e che il Pd debba essere il garante della continuità su questo versante, non può che guardare con preoccupazione alle posizioni di Vendola.
Meglio Casini?
Mi sembra evidente una maggiore omogeneità con le proposte di Pierferdinando Casini.
Forse Bersani ha paura di un’ulteriore emorragia di voti. La reazione ai toni dei grillini potrebbe essere un segnale in questa direzione.
Ritengo che ci siano momenti nei quali mettere i puntini sulle “i” diventa doveroso, perché nella sfera pubblica il linguaggio non dovrebbe mai trascendere. Beppe Grillo deve capire che non è più un semplice comico, ormai da politica, e con un notevole risultato a livello di consenso. E che per chi fa politica la responsabilità e la civiltà di linguaggio sono un principio inderogabile.
Il timore è che il Movimento 5 stelle, oltre che al Pdl, sfili consensi anche al Pd?
È un dato di fatto che Grillo dreni voti al nostro partito. Non avrebbe stime che lo accreditano a due cifre altrimenti. Ci sono numerose ricerche che dimostrano come in occasione delle regionali del 2010 ad essere penalizzato fu soprattutto il Partito democratico. Il fenomeno di travaso di voti da destra, come nel caso di Parma, è più recente. Ma alimentare il tono delle polemiche non basta.
Cosa occorre?
Il Pd deve formulare una vera proposta di governo, cosa che ancora non ha fatto in maniera adeguata. Occorre ristabilire una coerenza tra il sostegno convinto che stiamo dando al governo Monti e quel che ci si propone di fare nella prossima legislatura. Il campo della protesta populista è già occupato, dobbiamo pensare a rinnovare la nostra classe dirigente abbandonando la cooptazione e aprendoci alla società civile.
Le primarie potrebbero essere una buona occasione?
Siamo il partito delle primarie anche per questo. Sono uno strumento che deve diventare un’abitudine, all’interno di regole certe. Non si possono ridiscutere da capo ogni volta. Anche se anni fa parlare di primarie in Italia sembrava un’utopia, mentre grazie a noi sono stati fatti passi da gigante.
Il ricambio generazionale è uno dei cavalli di battaglia di Matteo Renzi.
Per i parlamentari basterebbe applicare lo statuto: massimo tre mandati consecutivi, deroghe pari ad un massimo del 10%. Sulla rottamazione mi fermerei alle regole che ci siamo dati, eviterei psicodrammi. Da Renzi mi aspetterei piuttosto che insistesse su un cambio radicale della cultura politica. Siamo ancora fermi agli anni ’70. La rivoluzione che hanno compiuto nei rispettivi partiti Tony Blair o Gerhard Schroeder da noi non è ancora avvenuta.
Meglio Renzi di Bersani?
Al segretario rimprovero senz’altro di aver incoraggiato questa regressione culturale verso i temi propri della sinistra degli anni ’70.
Sosterrà il sindaco di Firenze?
Con chi come me condivide l’esigenza di portare avanti l’agenda Monti ci riuniremo entro settembre e prenderemo una decisione. A Renzi dico di non innamorarsi della rottamazione. Ci deve conquistare sul versante della proposta politica. Avrebbe gioco facile, perché nella segreteria di Bersani c’è chi, come Fassina, Damiano e Orfini, remano nella direzione esattamente opposta. Per dire, propongono di riscoprire Togliatti, guardano al passato invece di porre le basi per il futuro.
Sembra che Renzi si sia avvicinato alle posizioni di chi si pone in continuità con il governo dei tecnici.
Mi sembra un passo decisamente importante. Anche perché se vuole essere un vero leader, non gli basta essere “contro”.
di Pietro Salvatori