venerdì 31 agosto 2012
A questo punto tanto vale pubblicarle, tutte, maledette e subito. Anzi, le stampi direttamente la procura di Palermo le intercettazioni che riguardano il Capo dello stato. Di abuso in abuso, siamo giunti al culmine di questo vero e proprio bubbone che infetta le istituzioni e la politica. E accanto a pezzi di magistratura che agiscono come “servizi deviati”, cioè deviando e sconfinando dai limiti che la Costituzione assegna al proprio ufficio per giocare un ruolo politico, si aggiunge una casta giornalistica che trasuda ipocrisia da tutti i pori (o quasi).
Oltre al danno dell’abuso, la beffa: è evidente, infatti, che queste intercettazioni girano, sono di dominio pubblico nelle redazioni dei più “autorevoli” quotidiani, nei cosiddetti ambienti “bene informati”. Le conversazioni del presidente non dovevano essere ascoltate. E se ascoltate casualmente, non dovevano essere conservate, ma immediatamente distrutte. Questo sarà la Consulta a stabilirlo. Appurato che esistono, il latte è versato, ma è ancora peggio che da mesi se ne parli, che ci vengano costruite sopra campagne di stampa e difese d’ufficio, e che un centinaio di privilegiati – i quali evidentemente ne conoscono il contenuto – ne facciano l’uso che fa loro comodo, mentre gli italiani sono costretti a brancolare tra i sospetti incrociati. Anche nel dubbio che siano state acquisite, conservate e diffuse illegalmente, ci sarebbe qualcosa di nobile per un giornale nel pubblicarle integralmente, per mettere al corrente i suoi lettori e tutta l’opinione pubblica. Ma evocarle strumentalmente, usare ciò che si conosce non per informare, bensì per alimentare allusioni, sospetti, veleni, non si addice alla professione giornalistica. E’ sciacallaggio sulla pelle delle istituzioni e alle spalle degli italiani.
Panorama ha buttato altra benzina sul fuoco, ma ha almeno tentato di squarciare il velo d’ipocrisia. In alcune telefonate con l’ex ministro dell’Interno Nicola Mancino, intercettate a quanto pare tra novembre 2011 e aprile 2012, quindi a cavallo della crisi di governo, il presidente Napolitano esprimerebbe pesanti riserve sull’azione della Procura di Palermo e sul protagonismo politico di alcuni pm, nonché giudizi poco lusinghieri su Antonio Di Pietro e Silvio Berlusconi, su quest’ultimo per la credibilità perduta dall’Italia sotto il suo governo. Non può essere Panorama, insomma, o almeno non solo Panorama, la pietra dello scandalo. È più grave il comportamento di chi, venuto a conoscenza del contenuto di quelle conversazioni, ha deciso di utilizzarlo strumentalmente senza condividerlo in modo trasparente con il pubblico. Suonano sibilline le dichiarazioni attribuite dal Fatto quotidiano al procuratore di Palermo Messineo: «Che sia Panorama a pubblicare queste notizie esclude che possano essere uscite dalla procura di Palermo». Un’ammissione implicita, forse, che sì, la Procura di Palermo passa informazioni, ma ad altri organi di stampa?
Il Quirinale reagisce duramente, parlando di «autentici falsi» che si aggiungono alle già numerose «manipolazioni», bollando come «risibile» la pretesa di poter «ricattare» il Capo dello stato e richiamando «chiunque abbia a cuore la difesa del corretto svolgimento della vita democratica» a «respingere ogni torbida manovra destabilizzante». Ha avuto ragione il presidente Napolitano ad investire del problema la Consulta, ma il suo intervento è tardivo rispetto alla gravità delle anomalie e limitato alla difesa delle prerogative della sua carica, mentre in questi anni altre istituzioni – Parlamento e governo – avrebbero meritato maggiore tutela dagli attacchi, spesso impropri e con mezzi illegittimi, da parte di alcune procure. Si può rimproverare a Napolitano di aver deliberatamente contribuito ad affossare un disegno di legge sulle intercettazioni e di non aver intrapreso – pur essendo al vertice dell’ordinamento giudiziario, come presidente del Csm – iniziative ben più incisive per vigilare sulla corretta applicazione della legge e sul corretto svolgimento delle loro funzioni da parte di alcuni settori della magistratura. Insomma, è spiacevole la sensazione che Napolitano si sia svegliato solo quando si è trovato lui stesso coinvolto nel circolo mediatico-giudiziario.
E ancor più grave sarebbe scoprire che confidava agli amici, in privato, di essere consapevole del ruolo indebitamente politico svolto da alcune procure e pm, senza però fare nulla, nell’ambito dei suoi poteri naturalmente, per porre fine a tali anomalie. È arrivato il momento per il presidente Napolitano di fare il presidente del Csm e di dar seguito con atti pubblici, formali, alle convinzioni espresse in privato.
di Federico Punzi