Un terzo dei fallimenti è colpa dello stato

giovedì 30 agosto 2012


Lo stato insolvente sarebbe direttamente responsabile di un terzo dei fallimenti di imprese dall’inizio della crisi al 2012. Lo sconcertante j’accuse arriva dalla Cgia di Mestre. Dall’inizio della crisi alla fine di giugno di quest’anno, i fallimenti in Italia hanno sfiorato le 46.400 unità: tra questi, circa 14.400 (poco più del 30%) sono maturati a causa dell’impossibilità da parte degli imprenditori di incassare in tempi ragionevoli le proprie spettanze. 

Lo stato ha 70 miliardi che non gli appartengono: sono di professionisti, di piccoli e medi imprenditori che hanno lavorato per la pubblica amministrazione e non si sono visti mai pagare le proprie spettanze. Secondo le stime più pessimistiche, il debito ammonterebbe addirittura a 90 miliardi di euro. Di questi, 30 sono stati sbloccati dal governo attraverso quattro decreti orientati a compensare i crediti delle imprese con le somme dovute per le tasse. Ma è ancora troppo poco, perché lascia con le tasche vuote migliaia di piccole aziende. Insomma, se lo stato avesse fatto il suo dovere, pagando quei lavori che aveva commissionato, l’impatto della crisi sarebbe stato sensibilmente più lieve, e quasi 15mila aziende sane avrebbero potuto continuare a lavorare.

I ritardi dei pagamenti non sono solto un male italiano: secondo i dati di Intrum Justitia, la percentuale di aziende che in Europa falliscono per questo motivo è pari al 25% del totale. Ma l’Italia è la sola che, invece di ridimensionare il problema, lo ha lasciato lievitare. Il nostro paese, dove i ritardi superano la media europea di circa 30 giorni, è l’unico ad aver registrato addirittura un aumento dei tempi effettivi di pagamento tra il 2008 ed i primi mesi del 2012 : + 8 giorni per le transazioni commerciali tra le imprese private, + 45 giorni nei rapporti tra Pubblica amministrazione ed imprese. La situazione per le attività che lavorano per la cosa pubblica è drammatica: se in Francia le aziende vengono saldate dopo 65 giorni, in Gran Bretagna dopo 43 giorni, mentre in Germania il pagamento avviene dopo appena  36 giorni, in Italia il pagamento avviene mediamente dopo 180 giorni.

«È necessario che venga recepita quanto prima la direttiva europea contro il ritardo nei pagamenti» commenta Giuseppe Bortolussi, segretario della Cgia. «La mancanza di liquidità sta facendo crescere il numero degli “sfiduciati”, ovvero di quegli imprenditori che hanno deciso di non ricorrere all’aiuto di una banca. È un segnale preoccupante che rischia di indurre molte aziende a rivolgersi a forme illegali di accesso al credito, con il pericolo che ciò dia luogo ad un incremento dell’usura e del numero di infiltrazioni malavitose nel nostro sistema economico».

Sta già accadendo. Con l’inasprirsi della crisi economica, infatti, la criminalità organizzata ha mosso un vero e proprio assalto all’impresa, coniugando la propria necessità di riciclare il denaro sporco, frutto dei proventi criminali, con la mancanza cronica di liquidità in cui versano le Pmi: tra il 2008 e il 2011, le segnalazioni di operazioni di riciclaggio sospette sono passate da 14.069 a 48.344. Un aumento del 243,6%.


di Luca Pautasso