mercoledì 29 agosto 2012
I risultati negativi della politica così come quelli dei professori sono di tutta evidenza. Proprio mentre il governo promette provvedimenti per la crescita, l’Ilva di Taranto rischia la chiusura forzata, mentre per la sarda Alcoa la chiusura sembra ormai certa. Due aziende leader nei settori della metallurgia che, per motivi affatto diversi, ambientali per la prima, di sostenibilità economica per la seconda, rappresentano due negatività legate alle malattie tipiche della nostra politica impregnata di incompetenza, settarismo ideologico, assenza di previsione e programmazione, incuranza delle sorti dell’Italia, massima cura degli interessi propri siano essi di parte che personali.
È di generale conoscenza che l’Italia è territorio molto povero di risorse energetiche (quelle petrolifere della Basilicata o del mare Adriatico non hanno ancora significativa incidenza sui nostri fabbisogni e sono ancora allo stadio di start up) e tuttavia da decenni, a partire dalla fine della seconda guerra mondiale, molto dello sviluppo industriale ha riguardato lavorazioni per le quali sono necessarie enormi quantità di energia, che pertanto costituisce materia prima fondamentale. Le crisi petrolifere degli anni ‘70 del secolo scorso e successive, che avrebbero dovuto costituire segnali importanti sul futuro che si andava delineando, non hanno fatto desistere i responsabili delle nostre politiche da un settarismo ideologico che voleva il progresso e la crescita concentrate nell’industria pesante che ha ottenuto, soprattutto per il meridione d’Italia, sussidi di ogni genere allo stesso modo che oggi, le cosiddette energie verdi hanno con gli incentivi per l’inutile fotovoltaico. Nessun sostegno o previsione quindi per le altre attività quali, ad esempio, quella turistica, che solo di recente e in ritardo è assurta al rango di industria avendo nel frattempo accumulato un gap nei confronti di altri paesi, in possesso di infinitamente minori risorse paesaggistiche e culturali, ma che hanno messo in essere infrastrutture e servizi che alla fine hanno consentito loro di scavalcarci nelle graduatorie del settore. Le medesime conclusioni possono essere tratte su molti altri settori: scuola e ricerca in primo luogo, pilastri questi ultimi su cui poggiare il futuro di una nazione.
Per quanto detto ci troviamo quindi, in particolare con la vicenda dell’Alcoa, industria a enorme necessità energetica, di fronte a una insostenibilità economica rispetto una concorrenza che paga l’energia un buon 30% in meno rispetto i nostri costi. Di qui la probabile chiusura, a meno di interventi statali di sostegno, che poi significa il contrario della crescita, con migliaia di lavoratori ridotti alla fame che protestano gettandosi in mare. Almeno fino a che l’acqua della Sardegna è ancora calda e trasparente.
A costoro vorrei suggerire una soluzione ai loro problemi. Se i pannelli solari non sono in grado di sostenere la potenza energetica a basso costo necessaria a far funzionare e rendere competitiva l’Alcoa, si decidano a chiedere, con una risoluzione regionale, che lo stato costruisca in Sardegna una centrale nucleare. Vero è che si troverebbero in contraddizione con un precedente referendum, ma è altrettanto vero che pioverebbero immediatamente sull’isola fondi ingenti per la costruzione, che si insedierebbero tecnologie d’avanguardia, che si avrebbe una disponibilità di energia a costi assolutamente minori anche per le famiglie, atteso che lo stato, su richiesta dei sardi, credo non avrebbe alcuna remora nel riconoscere alla regione ospitante tariffe oltremodo agevolate. Senza contare i posti di lavoro altamente qualificati che la centrale sarebbe in grado di garantire.
Certo, bisogna abbandonare giudizi falsi e precostituiti, avere conoscenza e capacità di analisi delle cose del mondo sia da parte della politica nazionale che delle popolazioni locali, ma nulla è impossibile.
L’alternativa non evitabile può essere la fame o i bagni a mare. A meno che non si voglia consapevolmente ritornare alla pastorizia, certamente ecosostenibile e appartenente alla cultura dei luoghi.
di Giuseppe Blasi