O il progresso, o la demagogia. Scegliamo

giovedì 23 agosto 2012


L’Italia, ma soprattutto gli italiani, devono prendere una semplice decisione. Se essi vogliono, cioè, ritornare a vivere nelle capanne e dedicarsi alla pastorizia, come avveniva ai primordi dell’antica Roma o, se invece preferiscono progredire e continuare a usufruire di quanto la scienza e la tecnologia hanno messo a nostra disposizione fino a questo momento: iPad e farmaci compresi. Nel primo caso, di un ritorno alle capanne quindi, non ci sarà bisogno di energia elettrica come di qualsiasi altro strumento che finora ha contribuito a renderci la vita più lunga e più piacevole. Cosa questa che dimentichiamo molto spesso. Non ci sarà più inquinamento che non sia l’anidride carbonica prodotta dai peti di mucca e la vita potrà sintonizzarsi completamente con quella degli animali e dell’ambiente in genere. Non ci sarà più il problema se chiudere o no l’Ilva a Taranto, come non sarà più necessaria la centrale elettrica di Civitavecchia che il sindaco vorrebbe rottamare. Niente più termovalorizzatori (che peraltro in Italia sono rarissimi), niente più automobili, ma neanche biciclette perché non funzionerebbero le industrie che le producono. Insomma nulla di nulla. L’importante è decidere. Si può chiudere l’Ilva come qualsiasi altra azienda che produca beni e servizi in quanto, solo per il fatto di esistere, è inevitabilmente apportatrice di alterazioni sulla natura. Poi però bisogna trarne le conseguenze.

Nel secondo caso, se si vuole restare invece nell’ambito dei paesi maggiormente progrediti e a più alto indice di benessere, sarà necessario coniugare attività potenzialmente nocive con il più alto indice di attenzione; che poi significa investimenti in tecnologia anche a difesa dell’ambiente.

Il caso dell’Ilva è emblematico. Se è vero, come sembrerebbe, che questa azienda non abbia osservato comportamenti corretti nei confronti sia dell’ambiente circostante che di coloro che in tale azienda vivono e lavorano, allora si rendono necessari interventi correttivi a salvaguardia senza però chiudere gli impianti. Ammesso che il permanere in Italia, nazione povera di proprie fonti energetiche che deve necessariamente importare, sia un bene per l’economia in generale continuare a mantenere vive fabbriche il cui costo maggiore è l’energia. È invece certo che il caso dell’Ilva abbia colpevolmente dato fiato a un fondamentalismo ambientalista che con lo sviluppo e il progresso non hanno nulla a che fare, ma che invece come dicevo portano, alla velocità del suono, verso il sottosviluppo, facendo leva proprio sulle vicende di questa acciaieria per riproporre tutto un vecchio repertorio di falsi allarmi finalizzato verso indirizzi di investimento non del tutto limpidi.

Ecco quindi come, a fronte di una guerra totale di opposizione alle centrali nucleari, siano stati pretesi e ottenuti incentivi per la realizzazioni di enormi campi fotovoltaici o eolici che con la produzione di energia (meglio dire “potenza”) necessaria a far funzionare una acciaieria non hanno nulla a che fare, ma che sono formidabili nella distruzione dello stupendo paesaggio italiano. Intanto gli italiani, che per produrre le potenze necessarie a far funzionare aziende energivore come le acciaierie, bruciano petrolio, gas e carbone, pagano la bolletta elettrica, sia domestica che industriale, un 30% in più rispetto gli altri paesi europei. Questi stessi italiani che si disperano per il caro benzina non sanno ancora che il futuro, ormai imminente, riserverà sorprese ancora più amare quando inizieranno a chiudere le nostre raffinerie (importeremo presto il prodotto finito, alias benzina) perché non più competitive causa maggiori costi dovuti anche a una (giusta) salvaguardia ambientale che però non sarà mai assoluta come si vorrebbe e vorremmo; così come sono a rischio tutte, ma proprio tutte, le attività umane. Anche quelle apparentemente innocue come l’agricoltura. 

Nessuno, e gli ambientalisti men che meno, si pone infatti domande sul perché una delle zone d’Italia a maggiore incidenza cancerogena sia l’alto Lazio, territorio a particolare vocazione agricola e senza distretti industriali di una qualche rilevanza. Costoro sono gli stessi che possono finalmente registrare come loro successo la fine delle emissioni radiofoniche della radio vaticana dal territorio di Cesano, poiché accusata a torto e senza evidenze scientifiche, come ampiamente dimostrato, di provocare leucemie nei bambini (ricordo che le apprensive e battagliere madri che scendevano in piazza temendo gli effetti delle onde elettromagnetiche, oggi danno i cellulari ai loro bambini proprio per la loro sicurezza). Avremo il piacere di constatare in futuro come questo vasto territorio pianeggiante, situato in posizione strategica tra il lago di Bracciano e Roma, sarà presto oggetto di grosse speculazioni edilizie che cementificheranno la costituenda città metropolitana. Allora in molti saranno certamente contenti. 

Cosa dire poi dello smaltimento dei rifiuti? Coloro che non vogliono termovalorizzatori, che si oppongono (giustamente e falsamente) alle discariche favoriscono di fatto organizzazioni criminali che sui rifiuti hanno fondato le loro fortune e le nostre sfortune. Ecco perché se l’Ilva ha delle colpe queste hanno valenza doppia. Proprio perché danno forza a chi sulla presunta salvaguardia ambientale ha fondato un enorme potere.

In ogni caso gli italiani devono decidere. Il dilemma non è o lavoro o morte. La scelta deve essere tra progresso controllato e sicuro, per quanto è dato di avere, ovvero un inevitabile regresso, un ritorno ai primordi che avrà per conseguenza una aspettativa di vita sicuramente peggiore in termini di durata e qualità. Basta sapere.

di Giuseppe Blasi