mercoledì 22 agosto 2012
Nei giorni scorsi il pubblico ministero Antonino Ingroia ha fatto tra l’altro sapere all’opinione pubblica che «la seconda Repubblica è nata sui pilastri eretti sul sangue di magistrati e persone innocenti. Non potrà mai diventare una democrazia matura fino a quando non si riuscirà a sapere la verità su quella stagione».
Un concetto assai discutibile, quello espresso dal magistrato della procura di Palermo, ma che tanto è piaciuto (e come poteva essere altrimenti...) al giornalista-amico Marco Travaglio che domenica, nella sua colonna ospitata dalla prima pagina del Fatto Quotidiano, ha praticamente copiato l’Ingroia-pensiero, includendo il pubblico ministero palermitano tra quei «pm che cercano la verità sulla trattativa Stato-mafia, atto fondativo della Seconda Repubblica».
Coerente, non c’è che dire: perché, come noto, tutto ciò che sostengono certi pm, per Travaglio rappresenta il Vangelo, la linea guida del suo pensiero.
E questo lo porta, assai spesso, a sparare a pallettoni contro coloro che la pensano diversamente. In questo periodo, poi, il vice-Padellaro c’è l’ha con tutti: Giorgio Napolitano, Silvio Berlusconi, i rivali de La Repubblica, Eugenio Scalfari, il Corriere della Sera, l’Unità e chi più ne ha, più ne metta. Proprio tutti, tranne quella combriccola composta dai “soliti noti” e che include un Antonio Di Pietro oramai allo stremo ed un Beppe Grillo che, contro l’ex pm molisano, sta facendo a gara a chi la spara più grossa pur di acchiappare qualche consenso in più.
Mai una volta che questa congrega renda noto il suo disappunto per qualche discutibile decisione di un qualunque togato. Mai che questa cricca ammetta che una intercettazione (di chicchessia, si intende) non doveva essere resa nota. Mai (ma proprio mai) che questi signori riconoscano un qualche eccesso da parte dei loro ex colleghi, compagni di vacanze o di palco.
Niente che sia niente: loro, e soprattutto i loro ispiratori, sono sempre e comunque dalla parte della ragione. Anche quando oltrepassano i limiti dettati al loro ufficio, quello di magistrato inquirente. Il resto del mondo è nel torto e basta.
Solo due domande. La prima: ma quando parte Ingroia per il Guatemala? La seconda: ma chi ha ucciso il dottor Borsellino? Dopo vent’anni di indagini, quest’ultima domanda non ci sembra poi così peregrina.
di Gianluca Perricone