mercoledì 15 agosto 2012
Quanto sta accadendo a Taranto, dove in seguito ad una decisione del gip Patrizia Todisco rischia di essere chiusa una azienda che produce acciaio e garantisce la occupazione ad oltre dodicimila dipendenti, merita di essere valutato con grande attenzione.
In primo luogo, mai come in questo caso appare necessario riepilogare i fatti, per capire gli sviluppi di una vicenda che ha provocato tensioni nella città di Taranto ed è stata al centro del confronto democratico nella politica italiana. Con una ordinanza emessa in data 25 luglio, il Gip Patrizia Todisco ha ottenuto il sequestro di sei impianti, che si trovano nello stabilimento di Taranto, poiché considerati altamente inquinanti e responsabili dell’emissione di Benzoapirene e della diossina, sostanze nocive che hanno arrecato danni all’ambiente, dando luogo ad una vera emergenza sanitaria. Infatti, secondo i dati diffusi ieri dall’istituto nazionale di sanità, le patologie tumorali, per i cittadini che abitano e vivono nei quartieri dove sorge l’acciaieria, sono aumentate del 30%. In seguito al provvedimento del gip Todisco, che rischiava di condurre alla chiusura della azienda ed alla perdita sia della produzione dell’acciaio, indispensabile per il sistema produttivo nazionale, sia alla distruzione di molti posti di lavoro, si è pronunciato il Tribunale del Riesame.
Il Tribunale del Riesame giorno 8 agosto aveva confermato il sequestro degli impianti e gli arresti domiciliari per il suo Presidente Emilio Riva. Tuttavia, nella stessa decisione del Riesame, era prevista la possibilità di continuare a utilizzare gli impianti per garantire la produzione industriale, imponendo all’Ilva di attuare la bonifica sia all’interno dell’azienda sia all’esterno di essa. Inoltre veniva, sempre in base alla decisione del Riesame, prescritto all’azienda di adottare dei sistemi di monitoraggio, in grado di misurare l’impatto della produzione industriale sull’ambiente, per tutelare la salute dei cittadini e l’ecosistema nella città di Taranto. Per questo motivo Bruno Ferrante era stato nominato custode degli impianti e responsabile delle questioni amministrative.
Con una nuova ordinanza, che ha suscitato stupore e sconcerto sia tra i ministri del governo competenti per materia, che avevano avviato un dialogo con i vertici dell’azienda, si tra le forze politiche, preoccupate per le conseguenze della nuova decisione che rischia di paralizzare la produzione industriale, il gip Patrizia Todisco ha stabilito che, poiché il tribunale del riesame ha confermato il sequestro dei sei impianti, è necessario che sia vietato e proibito il loro utilizzo e che vengano di fatto spenti. In più, sempre con la nuova ordinanza con cui di fatto ha dato una interpretazione della decisione del tribunale del riesame, fatto giuridicamente inusuale e mai avvenuto in passato secondo l’avvocato che rappresenta l’Ilva Carlo Alleva, il gip Patrizia Todisco ha stabilito che il presidente Bruno Ferante non può essere il custode degli impianti, a causa di un conflitto di interesse, e né ha affidato la gestione ad alcuni ingegneri, tra cui Barbara Valenzano, che hanno realizzato in passato una serie di perizie tecniche sull’impianto siderurgico di Taranto. In seguito a questa decisione del gip, visto che nuovamente è a rischio sia la produzione industriale sia la occupazione di migliaia di operari, e soprattutto la possibilità di realizzare le azioni i bonifica nell’impianto di Taranto, in base al’impegno assunto dai vertici aziendali con il governo nazionale e le parti sociali, il governo ha deciso di inviare giorno 17 agosto i ministri competenti, quello dell’ambiente e quello dello sviluppo.
Ora è difficile, in presenza della decisione del gip di Taranto Patrizia Todisco, con cui si rischia di vanificare lo sforzo compiuto dal governo e dalle parti sociali per conciliare le ragioni economiche della produzione industriale con quelle che impongono la necessaria salvaguardia ambientale, evitare di pronunciare una critica all’indirizzo di una parte della magistratura. Quella del Gip di Taranto è una decisione, che sia pure dovuta alla esigenza insopprimibile ed incoercibile di garantire la tutela dell’ambiente e della salute di cittadini, appare viziata da una motivazione ideologica. Quello di Taranto, come gli esperti non hanno avuto esitazione a riconoscere, è un impianto obsoleto, che da tempo doveva essere sottoposto ad una azione di bonifica e revisione. Si tratta di uno dei più grandi impianti siderurgici d’Europa. Queste aziende sono scomparse dal panorama industriale Europeo, perché sono state delocalizzate e trasferite lontano dal vecchio continente. Ma ciò che sorprende ed induce ad una amara riflessione riguarda la constatazione che ancora una volta si è prodotta la funzione di supplenza della magistratura, che è intervenuta in presenza di una emergenza sanitaria ed ambientale, poiché i poteri pubblici per troppo tempo, al cospetto della condizione altamente inquinante degli impianti industriali di Taranto, sono stati assenti e latitanti.
I titolari della proprietà degli impianti siderurgici di Taranto, in nome del profitto, hanno trascurato colpevolmente le conseguenze devastanti della produzione industriale sull’ambiente e sulla salute dei cittadini. L’ignavia dei poteri pubblici, per i quali non esistono scuse e ragioni plausibili, che da tempo avrebbero dovuto invocare la bonifica della fabbrica e del suo territorio, è l’aspetto più grave e preoccupante di questa vicenda. Per alcuni osservatori, la funzione di supplenza esercitata in questo caso dalla magistratura, conferma il fenomeno della giurisdizzazione del conflitto. Tuttavia occorre osservare che non sempre un giudice, che agisce in base alla obbligatorietà dell’azione penale e stabilisce ciò che è lecito e ciò che è vietato, possiede le attitudine per comporre un conflitto grave come quello che riguarda l’Ilva di Taranto, dove occorre rivedere il modello di sviluppo, per conciliare le ragioni della produzione industriale con quelle della salvaguardia ambientale. Si spera che il governo eviti la chiusura degli impianti e renda possibile l’azione di bonifica, oramai non più rinviabile.
di Giuseppe Talarico