I referendum che tutti voterebbero

sabato 11 agosto 2012


Il tempo si dimostra galantuomo con tutti. Persino con i Radicali e con Marco Pannella, che in Italia un ostracismo in malafede ha tentato di tenere sempre ai margini della politica pur di favorire il prosperare della partitocrazia della spesa pubblica. Proprio in questi giorni il dibattito sulla spending review scopre l’importanza di concetti come la golden share, ora che si deve vendere, speriamo non svendere, il patrimonio pubblico per tagliare il debito che è al 124% del pil. Ma si parla anche di cambiare le leggi per la trasparenza dei bilanci dei partiti e dei sindacati, si parla di legge elettorale, di responsabilità civile del giudice, di obbligatorietà dell’azione penale, di riforma del Csm, di Inail, di sostituto d’imposta, della democrazia di corpi come la Guardia di Finanza e della loro possibile smilitarizzazione, di abolizione di ordini professionali come quello dei giornalisti.

Insomma l’agenda Monti, specie come sarebbe dovuta essere al momento del varo del governo tecnico, non ha potuto non attingere alle tematiche referendarie del 1999 dei Radicali. Le stesse che Berlusconi cassò senza appello come “comuniste” invitando la gente ad andare al mare in quel giugno del 2000 e promettendo che a quegli argomenti ci avrebbe pensato lui dopo la vittoria elettorale del marzo 2001. Tutti sanno come è andata a finire e fà persino rabbia che i Radicali per promuovere la raccolta di firme di quei referendum, che ancora oggi propongono temi ancora tutti sul tappeto, abbiano dovuto svendersi le frequenze di Radio radicale due a quelli del Sole24ore che poi ci fecero Radio 24 e sperperarsi buona parte del patrimonio mobiliare e immobiliare che all’epoca possedevano. E questo perché, come è noto, quel partito non usa finanziarsi come tutti gli altri, con contorni di casi Lusi e Belsito.

Detto questo, io ancora ricordo i corifei dell’informazione di regime prendere letteralmente “per i fondelli” Pannella quando si presentava, una volta l’anno per tre minuti, in qualche spazio televisivo a difendere l’importanza dei referendum in questione. “Ma cosa volete che importi alla gente dell’abolizione dell’ordine dei giornalisti?” È la politica che deve pensare a queste cose.

E poi: la carcerazione preventiva? La responsabilità civile del giudice? L’abolizione del sostituto d’imposta? “Ma insomma siamo seri, non si può chiamare la gente a occuparsi di queste cose”.

Bene, il tempo è stato galantuomo con Pannella e i promotori dei referendum, perché oggi su quegli stessi giornali non si parla di altro. In compenso il paese è precipitato in una criusi istituzionale ed economico che non ha precedenti, esportando per di più in tutta l’Europa il proprio virus fatto di qualunquismo e opportunismo politico. Naturalmente i Radicali che sono per definizione pragmatici ed empirici nel proprio sistema di valori, dall’anti proibizionismo sulle droghe alla disperata richiesta di più liberismo su tutto, oggi non si consolano con l’avere avuto ragione dieci anni fa. È tipico degli irresponsabili il bearsi delle proprie ragioni guardando dall’alto un mare di macerie economiche e politiche.

No, i Radicali ancora oggi chiedono udienza all’informazione, specie quella pubblica radio televisiva, perché finalmente qualche mentecatto si prenda la responsabilità di disobbedire ai desiderata della partitocrazia e promuovere nei programmi televisivi di maggiore presa sul pubblico, compresi i talk show trasformati in proprietà privata dei vari “anchor man de noantri” alla Floris e alla Santoro, quei temi, in primis la riforma della giustizia e l’amnistia per la repubblica, che rimangono negletti nell’immaginario collettivo a causa delal totale disonestà intellettuale di gran parte della casta giornalistica italiana. Che grida al bavaglio quando qualcuno minaccia di mettere fine a certi mezzucci di aumento vendita copie come la pubblicazione di intercettazioni telefoniche contenenti pettegolezzi tra potenti. Ma che non dice un “beneamato” quando la vera libertà di informazione viene conculcata da quei potentati che poi in definitiva sono gli stessi che hanno garantito loro il posto di lavoro in tutti questi decenni. Il caso del Corriere della sera, esempio lampante, per ora “docet”.


di Dimitri Buffa