L'Italia si gioca tutto in Europa

venerdì 10 agosto 2012


Europa, Europa, Europa. Nell’escalation delle misure economiche comuni, dovute alla crisi, il tema europeo è divenuto estremamente popolare, uscendo dai bizantinismi delle cristallerie dove tutto è serafinamente ottimo e progressivo. L’ Europa, scesa terra terra, è apparsa improvvisamente a milioni d’italiani la causa dei loro mali immediati, degli alti tassi d’interesse sul debito, della stretta creditizia, della rigidità di regole di ogni tipo, della delocalizzazione industriale, e dei  servizi, dell’impossibilità di indebitarsi ancora. 

Le critiche di un tempo sui formalismi del la misura dei cetrioli o i fastidi per l’allargamento ad Est, percepito, dal Sud, come concorrente nella divisione dei fondi strutturali, appaiono acqua fresca, piccoli argomenti di un pugno di politici, persi nel mare magnum dell’europeismo intellettuale e popolare, della destra e della sinistra. 

L’europeismo era popolare perché l’insieme di eventi seguiti alla costituzione europea aveva portato danaro, investimenti e sviluppo,  perché era la difesa dall’Est sovietico, quindi anche della propria tradizione, perché agganciava i paesi con il welfare di più antica tradizione e garantiva lo sviluppo del tenore di vita delle masse popolari. 

Per di più, l’Europa non era partecipe del cattivo lato della medaglia: non combatteva in Corea o in Vietnam, non aveva basi missilistiche o nucleari proprie né dava la caccia ai terroristi. Anche la comica cattura di truppe di pace olandesi da parte dei serbi, aveva sottolineato uno stato di cose considerato positivo. L’Europa non faceva – non era in grado di fare - diplomazia, guerra, politica militare, spionaggio, tutto il brutto della politica. E se non era in grado di fare ciò perché aveva affidato questi aspetti agli Usa, tanto meglio. Gli Usa avrebbero fatto le cose brutte della politica, l’Europa le cose belle. Gli Usa le guerre e le bombe, l’Europa gli ospedali ed i teatri. 

Ovviamente questo tipo di europeismo era fallace, fondato sulla puerilità delle apparenze. L’Europa era coinvolta ed un tutt’uno con quanto fatto dagli Stati Uniti. Se fossero cambiati gli equilibri, e l’Europa fosse divenuta economicamente forte come gli States, le cose sarebbero cambiate. L’anti europeismo degli ultimi giorni è immotivato. L’Europa cerca di prendere provvedimenti perché è tutta sotto attacco finanziario. Un attacco che viene dagli Usa che non sono più quelli di un tempo, che sono indebitati come federazione e come stati, come privati e come pubblico. Gli attacchi finanziari non li decide Obama, non li scatena la Federal reserve, ma sono l’ovvia conseguenza di nuove grandi concentrazioni di ricchezza alla caccia della massimizzazione di guadagno, della vampirizzazione già avvenuta in casa americana e della gola che fanno alle ondate finanziarie la massa di risparmio e capitali europei. L’Europa non è così indebitata come gli Usa, soprattutto la sua industria, i suoi servizi ed il suo debito non sono di proprietà allogena. Nel tracollo del nostro debito pubblico si noti, solo per dire dell’Italia, che il possesso straniero è calato di dieci punti, attestandosi al 34%. 

L’euro, tanto vilipeso, gira in Europa. Non ci sono in giro per il mondo masse di “petroeuro” o di “narcoeuro” o di “sinoeuro” e “vodkaeuro” come avviene per la moneta americana che ormai segna un dollaro a casa e cento fuori. Se la gente percepisce che l’Europa lavora per farla vivere peggio, imponendole risparmi che magari verrano sacrificati e volatilizzati dalla finanza, è perché non se la sente di indicare il vero responsabile dell’ondata finanziaria, cioè gli Usa. L’America, una volta criticati francesi, inglesi, tedeschi, è per gli italiani inconsciamente l’ultima spiaggia, come non sperare in lei? 

È allora utile capirsi sulle prospettive di questo vecchio continente che con le sue emigrazioni dà tutt’oggi profilo a metà del mondo (l’altra metà è la Cina). L’Europa potrebbe anche declinare, resterebbero un’enorme Europa latina in Sud America ed un’enorme europa nordica negli Usa ed in Russia. L’Europa, nella sua lunga fase positiva, si è ripresa dalla sconfitta impartitale dalle sue realtà periferiche. Oggi, con mezzo miliardo di persone e 16mila miliardi di Pil, deve decidere cosa essere. La tempesta finanziaria e la globalizzazione hanno fatto emergere alcune grosse realtà economiche macroregionali: Giappone, Cina, India e Indocina, Russia e Csi, in parte Brasile. Fatturati, lavoro, welfare dipendono dalla competizione con queste aree ed ovviamente con gli Usa. L’Europa ha interesse ad essere una macroregione economica compatta, tanto più che l’età media più alta ed un enorme welfare. Più cinicamente le nuove realtà  fanno a meno di queste zavorre e gestiscono con ampio dirigismo la propria finanza. L’Impero romano impose una legge, una moneta, un mercato nel mondo antico.

La soluzione unitaria è alla lunga per gli ultimi della terra la soluzione più efficiente, più equa, più capace di produrre sviluppo. Purtroppo è la peggiore dal punto di vista delle classi dirigenti locali, territoriali, corporative e religiose. Un cripto francese Carlo Magno e Bisanzio, due imperi nella buia Europa dell’800 quasi ricostituirono l’unità. Poi fu la nebulosa del Sacro romano impero germanico in capo a danesi, boemi, ungheresi, austriaci, prussiani. Francia e Inghilterra per le loro monarchie, classi dirigenti, religioni e corporazioni si tennero fuori dall’Impero. Anche l’Italia lo fece in nome di classi dirigenti ancora superiori, in nome dell’Impero di Dio. Oggi di fronte al processo di unità europea, cosa dovremmo aspettarci di diverso rispetto al passato? Nulla, gli equilibri non cambiano. L’Europa sviluppatasi ingrassa e ingrasserà l’area germanica corrispondente alla somma dei domini prussiani ed austriaci, attorno i quali ruoteranno il resto dell’Est, l’Europa arretrata ex ottomana e l’area scandinava. L’Inghilterra se ne resterà fuori non potendo che scegliere l’alternativo calderone americano in cui fondersi. La Francia ha già dimostrato in passato quanto sia capace di germanizzarsi. Ecco perché l’antieuropeismo italiano di oggi è veramente destabilizzante. Al contrario degli inglesi, noi non abbiamo calderoni alternativi. Vista da Roma o da Milano, la neo-Europa carolingia non è nelle nostre corde. Il peso dell’arco lusitano-ispano-italo-ellenico non ha la giusta voce in capitolo, anche per l’incapacità dello stato più forte, l’Italia, di farsi espressione di questo blocco, come era nell’idea degli anni ’70 quando gli altri paesi meridionali entrarono nell’unione. La politica europea verso il Sud non esiste e chi ne parla lo fa per illudere se e gli altri. La politica eurogermanica va naturalmente verso est, verso la Russia con buona pace dei romanticismi da “Mala Antanta”. 

Chi desidera welfare e lavoro, deve volere un’Europa forte; l’Europa forte è la Germania vasta. Non è però l’interesse dell’Italia, e della sua storia, come non lo è della Gran Bretagna, che l’Europa sia solo la vasta Germania. Qui sta il dilemma. Moltissimi italiani vorrebbero risolverlo correndo in braccia ai salvifici Stati Uniti. Non capiscono che gli Usa dipendono ormai così tanto dall’Asia da essere cambiati, da non essere più i fratelli maggiori buoni. Obama è nato in mezzo al Pacifico, non c’è che sperare in un nuovo atlantismo con Romney. La rinuncia al colonialismo democratico di Bush con la permanenza delle occupazioni militari ha condotto l’amministrazione Obama al vicolo cieco dell’abbandono dei nazionalisti e del sostegno dei fratelli musulmani e di gruppi religiosi nella speranza di optare per la variante più moderata dell’islamismo. In attesa del crollo siriano, l’Islam aspetta di riunificare la cintura che va dal Marocco alla Turchia. Con una sinistra analogia con il movimento nazista, attende una vittoria basata sul voto democratico. Più antieuropei di così gli Usa non sono mai stati. L’Italia può sperare che l’Europa carolingia vada in pezzi da sola, che gli Usa cambino politica. Oppure forte del terzo contributo economico all’Ue - che vale, messo insieme, quello di altri 15 paesi - può pretendere di pesare nelle politiche europee. Primi atti concreti, riunire in un’unica voce i paesi sud mediterranei dell’Ue, rappresentando anche Atene, a partire dal semestre europeo cipriota. Poi chiedere ad Arcore un nome significativo, alternativo agli avatar invisibili fino ad ora espressi e mai pervenuti se non nelle agiografie di Torchiaro e Zagari.


di Giuseppe Mele