mercoledì 25 luglio 2012
Così ha tuonato il famoso pubblico ministero Scarpinato a Palermo il 19 luglio: «Occorre lavorare perché lo Stato diventi più credibile. Più trascorrono gli anni più è imbarazzante partecipare a queste commemorazioni. Stringe il cuore a vedere persone, le cui vite emanano quel puzzo di compromesso morale che tu Paolo tanto aborrivi. Se fosse possibile verrebbe da chiedere a queste persone di farci la grazia di stare a casa il 19 luglio, di tacere perché le loro parole sanno di una retorica stantia e sono gusci vuoti».
Il dottor Roberto Scarpinato, procuratore generale presso la Corte d’appello di Caltanissetta, intervenendo dal palco allestito per le celebrazioni per il ventesimo anniversario della strage di via D’Amelio, ha letto una lunga lettera dedicata al giudice antimafia Paolo Borsellino. «Noi abbiamo raccolto il tuo vessillo - ha concluso il magistrato antimafia rivolgendosi idealmente al giudice Borsellino - perché non finisse sotto le macerie dove volevano seppellirlo quanti trattavano la resa dello stato a Cosa nostra mentre il tuo sangue era ancora fresco». Con lo stesso giustificato ardore il magistrato Scarpinato dovrebbe parlarci dei suoi colleghi che agiscono in una zona grigia con la mafia e ‘ndrangheta (sono solo i politici ad essere collusi con la criminalità organizzata?), di quelli corrotti che si fanno pagare per emettere una sentenza favorevole, di quelli che tramano contro lo Stato, di quelli che trattano con pezzi deviati delle Istituzioni, di quelli finti che poi tracimano in politica. La categoria, come i sondaggi denunziano, non è credibile per dare lezioni. Fate un bel mea culpa ed aprite gli armadi. Siate severi prima con voi stessi e spietati con quelli appartenenti alla vostra categoria che forse delinquono.
Quando vi si chiede di rispondere, come gli altri dei vostri errori, di pagare per le vostre responsabilità, di essere sanzionati quando non siete capaci di assolvere alla vostra funzione non rispondete con il solito ritornello che non si può delegittimare la magistratura. Vi delegittimate da soli. Un lungo elenco di diversamente onesti a partire dall’inchiesta mani pulite ha cadenzato i titoli dei giornali (anche solo per un giorno, trattandosi di magistrati). Corruzione, concussione, vendita delle sentenze, falso in atti giudiziari, giudici tributari arrestati, un vero e proprio mercato delle sentenze. Csm, 1.282 giudici sotto processo; privilegi dei giudici: mille permessi in sei mesi. La giustizia è in crisi, ma per i magistrati abbondano consulenze e incarichi. Pagati extra e ben retribuiti. Il paradosso: un giudice lumaca pagato per insegnare a sveltire i processi. E’ concesso di arrotondare anche a chi ha procedimenti disciplinari in corso. Perché in questo caso la casta di appartenenza si chiude come una sorta di falange impenetrabile, che si autoassolve e si autoconserva. L’elenco completo l’eccellentissimo signor magistrato lo conosce meglio di me e dovrebbe sapere, come sa, che quello che è emerso è solo la punta dell’iceberg. Le parole che l’alto magistrato, forse spinto dall’emozione della circostanza, ha pronunciato segnalano una principesca lontananza dalla effettività, una orgogliosa considerazione del proprio operato personale, pensando erroneamente che tutti gli altri appartenenti alla categoria si siano comportati allo stesso modo.
Una pia distorsione del mondo reale, un modo errato di concepire tutti gli appartenenti alla magistratura quali uomini probi, incorruttibili, eroicamente votati al servizio della giustizia. Una posizione ieratica al di sopra del dolore e della gioia del mondo. Beatissimo signor magistrato trovi in sé l’equilibrio della dea Giustizia per poter parlare ai molti con parole di saggezza e comprensione, altrimenti taccia e si limiti a svolgere il suo difficile lavoro. Perché la gente pensa e parla con le parole di coloro che si pongono come esempio, come maestri. Bertolt Brecht: «Tu che sei una guida tale sei perché dubitasti delle guide». Purtroppo, a fronte della conclamata “notte della Giustizia”, fate sentire la vostra invadente voce solo per condannare quelli di una parte, per assolvere quelli dell’altra, per essere inflessibili e zelanti nel difendere alcuni che delinquono e poco accorti ai diritti delle vittime. Invece di discettare sulla separazione delle carriere, sulla abolizione della progressione automatica, sulla delegittimazione della magistratura, dovreste essere impegnati a rimuovere il volto opaco della giustizia, a ristabilire la fiducia dei cittadini in una giustizia sfigurata, polverizzata, azzerata da decenni di fallimenti, condanne vergognose, processi finiti nel nulla, di inutili convegni, dibattiti, relazioni, documenti, programmi. Sugli schermi appare il volto ieratico del pm Caselli che ci ripropone la granitica impunità dei magistrati e la loro proverbiale infallibilità, che ci delizia con l’autonomia e l’indipendenza della magistratura, con il rifiuto della separazione delle carriere (30 anni di chiacchiere), con l’obbligatorietà dell’azione penale, stigmatizzando gli attacchi che subiscono i magistrati, unico presidio dello stato di diritto, ignorando che i magistrati capaci lo sono per virtù propria, perché tali sarebbero in ogni campo, come lo sono quelli incapaci, per impreparazione o inettitudine.
Al pubblico non interessano i santuari intoccabili della magistratura, le interne vicende della istituzione giudiziaria, la passione delle correnti, le scalate per gli incarichi. Il paese vorrebbe vedere i padroni della giustizia tutti i giorni in prima linea per organizzare una amministrazione della giustizia efficace, efficiente, giusta. Dieci milioni di processi pendenti, venti milioni di cittadini in attesa di giustizia. Dalla attesa colerà il sangue e anche qualcosa di più immondo. E mi chiedo se le celebrazioni, così come organizzate, serviranno a migliorare la credibilità della magistratura italiana. La mia risposta è netta: no. Servirà soltanto a rendere più infernale la bolgia che stiamo vivendo. Bisognerebbe che i magistrati si dessero un po’ meno arie e imparassero ad essere un po’ più veri secondo una misura meno meschina dell’umano. I magistrati eroi morti ammazzati per la causa della giustizia sono un potente alibi per proteggere, assolvere, perdonare, quella moltitudine di magistrati che dovrebbero essere cacciati dalla magistratura dagli stessi magistrati, che diversamente erigono un muro di omertà e malcerta difesa per non delegittimare la categoria, conseguendo un risultato esattamente contrario all’obiettivo. Vi delegittimate da soli. I 20 milioni di cittadini che aspettano giustizia, non vi amano e non vi stimano, sono sfiduciati e delusi.
di Carlo Priolo