venerdì 20 luglio 2012
A quanto pare, ancora una volta la Sicilia tenta di farsi stato. Se non altro, la sua attuale somiglianza con la situazione complessiva prossima alla bancarotta della Repubblica italiana nel suo insieme è davvero impressionante.
Gli amministratori dell’isola, da molti anni a questa parte - senza alcuna distinzione di colore politico -, hanno “gonfiato” a dismisura (come la rana di Fedro, invidiosa della stazza del bue-Italia) il debito pubblico regionale, spinto sulla soglia del default da generazioni di politiche scellerate, fautrici della più spregiudicata spesa allegra.
Anche oggi, come nel 1992, si sta creando un pericolosissimo sforzo di trazione (si vedano, da un lato, le dichiarazioni di Maroni «il Nord non pagherà per il Sud», dall’altro quelle di Lombardo sulla «volontà di autonomia» di una Regione siciliana che si sente sfruttata dal Nord), che rischia di far collassare, portandoli lontani anni luce l’uno dall’altro, i due estremi geografici dello stivale. Ricorsi storici, a quanto pare. Ricordo benissimo come, vent’anni fa esatti, esatti, la “geniale idea” sopradescritta costò molto cara a un alto funzionario dello stato, per averla osata pubblicamente divulgare su organi di stampa “ufficiali”, portando così all’esterno dei circuiti delle veline riservate l’analisi di un rischio concreto di possibile rottura sistemica del Paese.
All’epoca, infatti, successivamente all’assassinio di Salvo Lima, comparvero, in sequenza, alcuni editoriali, in cui veniva ipotizzato il modello di rottura trasversale dello stivale, tra Italia del nord e quella del sud, favorita dalla compresenza di una strategia secessionista della neonata Lega Nord, da una parte, e di una stragista-autonomista di Totò Riina, dall’altra. Nel primo saggio, assai poco noto, pubblicato sulla pagina della cultura di uno di quei precari quotidiani “elettorali” (che, cioè, venivano rapidamente attivati in prossimità di elezioni amministrative di rilievo, come quelle regionali, e altrettanto velocemente soppressi subito dopo i risultati elettorali), diretto dall’allora onorevole Franco Fausti, si lanciava per la prima volta, nel panorama di una sconcertatissima opinione pubblica italiana, un netto e preciso segnale di allarme, dal punto di vista “geo-strategico”, qualificando l’origine e la natura dell’effettivo pericolo di una Sicilia che si fosse staccata definitivamente dall’Italia.
L’isola, infatti, per sua stessa collocazione naturale, si è sempre configurata come un’autentica “porta aerei” sul Mediterraneo (ambitissima, quindi, dalle due Superpotenze di allora, Unione Sovietica e America), oltre che come sede di uno dei poteri mafiosi più diffusi nel mondo (e soprattutto in America, per le note vicende legate alle fortissime correnti migratorie di poverissimi cittadini italiani nei primi anni del ‘900), in grado di accumulare immense fortune, ben nascoste in una miriade di paradisi artificiali.
Se, quindi, la Sicilia avesse acquisito dignità statuale, legiferando autonomamente e costruendo per conto proprio il suo sistema istituzionale e di relazioni internazionali, avrebbe con ciò realizzato - a quasi mezzo secolo di distanza - il sogno mafioso di diventare stato essa stessa, già coltivato molti anni prima, in occasione dello sbarco alleato, quando le “eminenze grigie” di oltre Atlantico fecero addirittura trapelare ai boss di allora la possibilità di aggiungere la stella siciliana nientemeno che alla bandiera degli Stati Uniti d’America.
Una Sicilia-stato, osservava il primo saggio citato, sarebbe diventata, in un solo battito di ciglia, la Nazione più ricca e benestante del mondo, richiamando da ogni parte del globo il denaro illecitamente accumulato dalle sue mafie, attraverso traffici di ogni tipo (droga, gioco, prostituzione, armi, usura, etc..).
Un altro dei micro-misteri d’Italia è il perché quella libera voce sia stata “annientata” (in carriera e umanamente) senza una spiegazione logica.
E, oggi, che si ripongono, in pratica, tutte”le premesse di allora, chi intende farsi carico di una valutazione politica del rischio e delle conseguenze (per ora solo teoriche..) di una reale spaccatura, politico-istituzionale, tra Nord e Sud, originata dagli stessi “contropoteri”?
di Maurizio Bonanni