Ritorna il partito del 1994

giovedì 19 luglio 2012


Desta non poca meraviglia leggere sul web che «Michaela Biancofiore lancia Forza nazionale: la deputata invita ad aderire alla pagina tutti uniti verso Forza nazionale un vero Pdl». Iniziativa che non rappresenterebbe affatto un strappo dal Pdl, piuttosto un ritorno alle origini. Quando a fine 1994, dopo il golpe che metteva fine al primo governo Berlusconi, c’era chi già intravvedeva il sentiero del partito unico Fi-An. Del passaggio dal Polo delle Libertà (anche del Buon Governo) ad un partito unico, che anche nel nome sintetizzasse l’acronimo di Forza Italia ed Alleanza nazionale. Così nella Bari del “ministro dell’armonia” (nomignolo affibbiato dalla stampa a Pinuccio Tatarella) spuntavano le due proposte Forza Nazionale ed Alleanza Italia. Una bella sintesi, che forse avrebbe scongiurato le fughe rocambolesche di Gianfranco Fini e compagni. Ma era ancora presto per staccare dai rispettivi orticelli i varo capetti locali e nazionali di An ed Fi. Anche perché proprio in Forza Italia si faceva largo l’idea che ben presto sarebbe spuntato un soggetto nuovo, tutto di centro, figlio delle ceneri dell’appena liquidata Dc (siamo nel ‘94) e perciò gradito al Ppe. An non era ancora un partito vicino alle istanze del Ppe, ed i democristiani “azzurri” consideravano i finiani dei missini da guardare con sospetto.

La democristianizzazione del partito del Cavaliere si dimostrò negli anni lenta, forte, inesorabile. Soprattutto a livello locale regnavano logiche ignote a Silvio Berlusconi. Nel 1999, con la morte di Pinuccio Tatarella, tramontava i progetto di riunire tutti i moderati nella coalizione “Oltre il Polo”, naturalmente costruita attorno alla missione di Silvio Berlusconi. Il progetto tramontava anche perché Gianfranco Fini non ha mai inteso lavorare ad un progetto comune con Berlusconi, e già dal 1999 cercava alleanze che lo smarcassero da Forza Italia: rimarrà negli annali della storia politica il suo abbraccio visionario (ma con scarsi consensi) con Mariotto Segni, noto come “lista dell’Elefantino”. Più una chimera che un cartello elettorale, culminato col ritorno di Fini sotto l’ala del Cavaliere. Oggi che Fini s’è fatto la sua piccola casetta di centro lontana dal Pdl, nel centro-destra si torna a parlare di Forza Italia ed An, soprattutto d’un partito che fonda entrambe le tradizioni. Michaela Biancofiore, si crede inconsapevolmente, ha raccolto la missione “tatarelliana”: dopo l’annuncio di nome e logo depositato, ha iniziato a lanciare su facebook “Forza nazionale”, il movimento «per Berlusconi con cui da oggi tornano al primo posto gli interessi dell’Italia e degli italiani» (per usare il Biancofiore pensiero). Le cose non sono così semplici, perché a Roma proprio il Pdl ha preso una piega diversa.

Angelino Alfano non è un segretario decisionista, il suo è un Pdl attendista in cui le responsabilità vengono diluite e, spesso e volentieri, riversate sempre sul Cavaliere. Nel Pdl regna la regola dello struzzo, nessuno vuole capire né sapere cosa accadrà al Pdl, e chi parla di progetti politici viene segnalato come “pericoloso”, facinoroso. Anche il solo pronunciare la parola primarie crea imbarazzo tra gli ex Forza Italia, figuriamoci esprimersi su un nuovo nome o soggetto politico. Di diverso avviso i “tatarelliani berluscones” (così erano appellati di berlusconiani di An ai tempi di Tatarella) Maurizio Gasparri (presidente dei senatori Pdl) e Ignazio La Russa (ex ministro e coordinatore Pdl). «La sigla Pdl resta fredda? È solo un problema di marketing? Parliamone, nessuno ha mai escluso che nomi nuovi possano rivelarsi più utili nella sfida elettorale, che è anche un fatto di comunicazione oltre che di contenuti. Ma questo non vuol dire tornare al passato», sostengono Gasparri e La Russa. Ribadendo che «tutto questo non mette in discussione il ruolo di Berlusconi». La macchina del rinnovamento interno è stata avviata dallo stesso Silvio Berlusconi, che ha annunciato il ritorno al nome Forza Italia. Un errore, un fraintendimento? L’ex premier non è persona che fa passi falsi sulla comunicazione, sa benissimo che nel vecchio partito c’era tanto di buono, soprattutto che nella nuova classe dirigente c’è tanto da rottamare.

Così in una intervista alla rivista tedesca Bild ha raccontato che «abbiamo ottenuto il 37,8% nelle ultime elezioni, e siamo stati costretti a includere nella coalizione i partiti minori: purtroppo i partiti piccoli non pensano al paese e al bene comune, ma sempre e solo alle piccole ambizioni politiche dei loro piccoli capi». Parola di Cavaliere. Immediate le reazioni di chi tiene più alla poltrona che alla politica. Tra gli ex An e gli ex Fi sono montate le polemiche, e qualcuno ha sventolato il fasullo orgoglio delle proprie origini. Gianni Alemanno ha subito occupato la poltrona del primo della classe, e con abile delazione a sinistra ha detto a La Repubblica che «le primarie del Pdl si devono fare [...] in un partito come minimo, per un cambiamento del genere si riuniscono di nuovo gli organi e si discute». E sulla possibilità che gli ex-An abbandonino il Pdl, Alemanno osserva: «Non mi convince una scomposizione del centrodestra con la destra da una parte e il centro da un’altra». È evidente che Alemanno non abbia all’orizzonte altra casa politica all’infuori di quella di Berlusconi. Anzi il Sindaco di Roma teme le urne più del diavolo l’acqua santa: non a caso Alemanno spinge per la continuità col governo Monti. Di diverso avviso il venerando Altero Matteoli (senatore e già ministro): «Ai miei amici ex An dico che non sono disponibile a dare vita ad altri partiti. Vengo dall’esperienza del Msi, sono passato ad An, contribuendo a farla nascere e poi sono entrato convintamente nel Pdl. Non intendo assolutamente dar vita ad altri partiti. Non riesco a scaldarmi al nome del partito, a me interessano i contenuti, il programma, gli obiettivi.

La discesa di Berlusconi in campo ha messo al riparo la questione della leadership». Della serie siamo allineati e coperti e l’esclamazione Forza Italia è di destra quanto e più di An. «Come sempre Altero Matteoli esprime un punto di vista di buonsenso e di saggezza: non sono i nomi che contano, ma i contenuti, le idee, le persone che assicurano credibilità», afferma il fido senatore Sandro Bondi. Ed a gettare acqua sul fuoco fatuo provvede il pontiere pompiere Fabrizio Cicchitto (capogruppo del Pdl alla Camera): «Leggiamo esternazioni di chi si augura rotture rispetto all’attuale configurazione politica del Pdl. Francamente ci sembrano follie. Sarebbe proprio paradossale che nel momento nel quale stiamo scegliendo di ricandidare Berlusconi il centrodestra si divida addirittura in più formazioni politiche». E la storia delle primarie interne al Pdl? Il buon Giancarlo Galan taglia la testa ai tori (anzi ai buoi): «Qualche esibizionista lo si trova ma uno che voglia contrastare Berlusconi non lo troverei. Se si candida Alemanno sono contento ma credo che lo farebbe solo per guidare e formare un nuovo partito. In tal caso non sarebbero primarie ma esibizioni muscolari». «Il ritorno di Fi - ribatte un frastornato La Russa - l’ho letto sul giornale ma non ho capito qual è la dichiarazione che lo annunzia.

Con Berlusconi c’è un rapporto splendido». An non esiste più, forse è solo una fondazione che gestisce immobili mascherando tutto per cultura. Se gli ex An uscissero dal Pdl trasformato in Forza Italia, il Cavaliere inviterebbe gli ex missini a votare Storace. «Vent’anni fa nasceva Forza Italia. Non mi iscrissi. Se rinasce vent’anni dopo, non credo che sia prevista l’iscrizione con amnesia», scrive Francesco Storace (segretario nazionale de La Destra) su Twitter, pronto ad allearsi col Pdl o con Forza Italia.


di Ruggiero Capone