Giustizia: l'Italia è la vergogna d'Europa

venerdì 13 luglio 2012


Il caso di Renato Farina può fare gridare di indignazione per due ordini di motivi: il primo è legato alla persecuzione contro una persona scomoda che sicuramente ha fatto errori in passato, peraltro pagandoli a caro prezzo; il secondo concerne la cosiddetta tempistica di una giustizia che conta tante velocità quante tipologie umane ci sono da colpire o da salvare. 

L’Italia però nella giustizia penale e civile continua a essere il disastro d’Europa, come testimonia anche la recente relazione al Parlamento per il 2011 da parte dell’ufficio contenzioso della Presidenza del consiglio a proposito delle sentenze di condanna da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo. 

Più precisamente, l’Italia si colloca al terzo posto per maggior numero dei ricorsi pendenti dinanzi alla Corte europea con circa 13.750 casi, a fronte dei 10.208 affari presenti nel 2010. Registrando così un incremento del contenzioso di circa il 26%, imputabile pressoché esclusivamente «ai ricorsi seriali in materia di violazione delle disposizioni sull’equo processo sotto il profilo dell’irragionevole durata». La Corte (Cedu) ha più volte posto l’accento sul «carattere continuativo e diffuso della violazione dell’articolo 6, paragrafo l, concernente l’eccessiva durata dei procedimenti». Evidenziando anche, «come elemento che aggrava la violazione della Convenzione», la «dimostrata incapacità, da parte dello stato italiano, di assicurare un processo di ragionevole durata e di apprestare rimedi adeguati di indennizzo».

Farina però, è stato condannato in sei mesi per un quasi non reato a due anni e otto mesi, pena che non si commina neanche ai rapinatori non incensurati. Quando invece veniva portato Cofferati in visita a Sofri da un deputato dell’estrema sinistra,facendolo entrare come proprio collaboratore, nessuno zelante Pm aveva accusato chicchessia di falso materiale. Forse anche questa ferocia burocratica è un rovescio della stessa medaglia dell’inefficienza?

Intanto un punto fermo: i mali della giustizia vengono quasi sempre dalla sinistra e dalle proprie leggi “furbette”. Si prenda la legge Pinto voluta dal governo Amato ed entrata in vigore nei primi giorni del governo Berlusconi (24 marzo 2001) per filtrare in Italia i ricorsi europei e dare in loco le compensazioni economiche per i processi troppo lunghi: il Cedu certifica nella relazione su menzionata che ormai non funziona più. «Il giudizio della Corte e del Consiglio di Europa sulla legge destinata a regolare gli indennizzi da eccessiva durata dei procedimenti (24 marzo 2001, numero 89, nota come legge Pinto) è assolutamente negativo». Ormai siamo ai «ritardi nel pagamento degli indennizzi» (anche di anni, ndr), che «determinano altri ricorsi alla Corte di Stasburgo». Il contenzioso interno pendente avanti alle corti d’appello «è tale da generare ritardi sulla definizione di altri procedimenti» e, dunque, «è esso stesso un gravissimo elemento che concorre a rallentare la macchina giudiziaria».

Nella relazione presentata dal Comitato dei Ministri del 9 ottobre 2010 si legge che l’eccessiva durata dei procedimenti giurisdizionali in Italia è un «serious systemic or structural problem» e che è valutato come «one of the most problematic issues facing the Strasbourg Court». L’inglese, volutamente burocratico – maccheronico per farlo capire anche ai politici italioti, non ha bisogno di traduzione. Nella stessa relazione si legge che i casi riguardanti l’eccessiva durata dei processi in Italia rivelano «the inadequacy of the domestic remedy for cases of excessive length of judicial proceeding». E questo «in funzione sia dell’entità degli indennizzi che dei tempi di corresponsione delle somme». In tale prospettiva «viene auspicata una radicale riforma della legge Pinto».

Per il resto, si conferma anche per il 2011 il trend degli ultimi anni che vede un incremento costante del numero dei casi pendenti dinanzi alla Corte europea. Il totale dei ricorsi da tutta l’Europa a 27 alla data del 31 dicembre 2011 registra infatti una crescita di circa 8 punti percentuali, attestandosi a 151.600 “affairs”, a fronte dei 139.650 dell’ anno precedente. In questo contesto, l’Italia peggiora la propria posizione, collocandosi, con 13.750 casi, al terzo posto per maggior numero di ricorsi pendenti, rispetto al quinto  posto raggiunto nel 2010, con 10.200. Siamo nella zona  “champions” della vergogna della malagiustizia in Europa. 

«Deve dunque rilevarsi – si legge nel rapporto -  che in Italia vi è una elevatissima propensione a ricorrere alla Corte di Strasburgo, da considerarsi in crescita costante». Quanto ai ricorsi non manifestamente irricevibili e che, in quanto tali, sono stati comunicati al Governo italiano, «ai fini della difesa rispetto alle doglianze di controparte», tale dato ammonta nel 2011 a 1095 casi. Sempre con riferimento al carico di lavoro della Corte, per quanto concerne gli affari contenziosi contro l’ Italia, risultano essere stati dichiarati ricevibili 34 casi, mentre 3114 sono stati assegnati al Giudice unico e ad un Comitato, come pure altri  9.498 sono stati attribuiti all’attenzione di una Camera e del Comitato «per un attento primo esame».

Le sentenze pronunciate nei confronti dell’Italia sono state 45 (erano 98 nel 2010), di cui 34 hanno constatato la violazione di almeno un articolo della Convenzione, 3 non hanno accertato alcuna violazione (2 delle quali pronunciate dalla Grande Camera), 7 hanno determinato soltanto l’equa soddisfazione e con una è stata disposta la cancellazione della causa dal ruolo. In relazione al numero delle sentenze con almeno una violazione, l’Italia, nell’ambito dei 47 Stati membri del Consiglio d’Europa, “migliora” la propria posizione rispetto all’anno 2010, passando dal settimo all’ottavo posto.

Peggio di noi? Turchia (159 condanne), Russia (121), Ucraina (105), Grecia (69), Romania (58), Polonia (54). Meglio di noi? Ungheria, con 33 sentenze negative del Cedu, e Germania con 31. Possiamo quindi sempre consolarci così. Con l’aglietto. Il cittadino a questo punto si domanda  anche se non abbia per caso ragione Marco Pannella a proporre la grande amnistia per la repubblica per azzerare il contenzioso penale e di conseguenza anche parte di quello civile, e se non sia giusto aderire ai quattro giorni di digiuno e di silenzio stampa (a partire dai microfoni di Radio radicale) organizzato dal 18 al 22 luglio prossimi.


di Dimitri Buffa