Marò: il basso profilo non paga

mercoledì 4 luglio 2012


Nella vicenda dei nostri due fucilieri del Reggimento “San Marco” la scelta del governo Monti, impersonata dal ministro degli Esteri Giulio Terzi di Sant’Agata, è stata quella del “basso profilo”, dei convenevoli diplomatici se non dei veri e propri “salamelecchi” come quelli di parlare di “civilissima” India per un paese che, pur tra punte di eccellenza, è per molti aspetti fermo ad uno stadio arretrato, a cominciare dall’approccio giudiziario in cui le indagini, in stile processi medioevali per stregoneria, puntano a colpevolizzare i malcapitati, piuttosto che a ricercare la verità dei fatti. Oltre al più noto caso di Latorre e Girone, c’è il caso di due giovani connazionali, Tomaso ed Elisabetta, condannati all’ergastolo con un processo avviato su pregiudizi a seguito della morte, che sembra dovuta ad overdose, di un altro italiano loro compagno di viaggio. 

Anche il mito della “non violenza” è una falsa credenza occidentale. Nel febbraio del 2002 un treno di pellegrini hindu venne dato alle fiamme dai locali islamici. La risposta dei correligionari “non violenti” fu sanguinaria, una vera e propria caccia all’islamico con migliaia di omicidi, case incendiate e stupri. Oggi, a dieci anni di distanza, non sono stati del tutto cancellati gli effetti di quella esplosione di violenza e, secondo Amnesty International, ancora ventunomila sfollati vivono in alloggi di rifugio a seguito dell’incendio delle loro case.

Nonostante l’articolo 17 della Costituzione indiana entrata in vigore il 26 gennaio 1950 sancisca il principio di eguaglianza universale tra tutti i cittadini, le caste sono sopravvissute, anzi sono proliferate come sistema di potere in quanto la legge garantisce posti riservati nella pubblica amministrazione e seggi riservati nelle assemblee elettive. Hanno di fatto assunto la funzione di lobby se non di vere e proprie mafie, moltiplicandosi. 

Non è pertanto del tutto peregrina l’idea che dietro all’incriminazione dei nostri due fucilieri vi siano interessi legati alla pirateria, che vedono un pericolo per la loro lucrosa attività il dispiegamento di militari a protezione di mercantili. A riprova della fantasiosa “creatività” dell’impianto accusatorio c’è il fatto che l’atto di accusa non è stato ancora depositato. Che si tratti un processo imbastito sul nulla in stile caccia alle streghe viene messo in evidenza da una memoria tecnica, una vera e propria perizia giudiziaria non formalizzata agli atti, dell’ingegner Luigi Di Stefano, perito specialista in indagini ad alto contenute tecnico. I nostri due militari sono infatti del tutto estranei all’evento in cui sono morti due indiani imbarcati su un natante battente bandiera di quella nazionalità impegnato in presunte attività di pesca, di cui il proprietario e custode giudiziario ha provocato l’affondamento, rendendo così impossibile verificare se da bordo non siano stati esplosi colpi d’arma da fuoco in un conflitto per motivi da accertare.

Al riguardo, lo stesso ministro Giulio Terzi di Sant’Agata ha più volte posto l’accento sulla questione della lotta alla pirateria, denunciando come essa venga fortemente minata dal procedimento indiano contro i nostri militari. L’impegno è stato ribadito nella recente conferenza di Dubai, chiusa lo scorso 28 giugno; con un formale concreto atto, il giorno successivo il Ministro Terzi ha nominato il diplomatico Gianni Ghisi quale suo Inviato Speciale per il contrasto alla pirateria marittima. Attualmente sono 77, su un totale di 107 richieste, i nuclei militari a protezione dei mercantili sulle rotte a rischio.

Purtroppo il basso profilo non ha pagato. Per varie cause, tra cui spinte secessioniste, strumentalizzazioni politiche ed elettoralistiche, commistioni di interessi, l’India, perché lo stato del Kerala non è uno stato sovrano, non sembra recedere su una linea che appare pericolosa anche per la sua credibilità internazionale. Lo svolgimento di un processo strumentale fondato su accuse smentibili con dati oggettivi inconfutabili ne minerebbe la sua credibilità internazionale proprio in un momento in cui intende porsi come potenza regionale emergente. Anche gli interessi economici contingenti, per non compromettere i quali l’Italia ha adottato un profilo rinunziatario, tanto da non contestare neppure le accuse indiane e sostenere l’estraneità ai fatti dei nostri militari, rischia in un processo in grado di richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica internazionale di avere effetti devastanti anche per il prestigio e la credibilità dell’Italia.

Se così fosse, il basso profilo non solo non sarebbe stato pagante, ma addirittura alla fine si rivelerebbe controproducente e dannoso per gli stessi interessi che si intendeva salvaguardare, anche perché a tal punto una crisi di rapporti tra Italia ed India diverrebbe profonda e divaricante.


di Giorgio Prinzi