martedì 3 luglio 2012
Con il congresso di domenica ha preso il via l’installazione della Lega Nord 2.0, versione riveduta e corretta del sistema operativo di partito, che, dopo circa vent’anni, necessitava urgentemente di un radicale aggiornamento. Un passaggio di cui si erano percepite le prime avvisaglie in occasione del raduno di Pontida 2011, quando, con la Lega ancora al governo, iniziarono a manifestarsi i primi, notevoli, malumori nei riguardi dei vertici del movimento e dell’alleanza con il Pdl: quel 19 giugno, seppur abilmente mascherata, oppure mal riuscita, si celebrò una prima, accennata, incoronazione dell’erede al trono Roberto Maroni, allora ministro dell’interno e volto istituzionale del movimento. Quello che è successo dopo è storia. Anzi, è cronaca.
Le inchieste, prima giornalistiche e poi giudiziarie, gli scandali dei rimborsi elettorali, le “paghette”, i diamanti e le finte lauree. Una devastante tempesta che ha colpito – e in parte travolto - il nucleo centrale del partito, il famigerato “cerchio magico” dei fedelissimi del Senatur, di Francesco Belsito e Rosi Mauro, ma anche e soprattutto la stessa famiglia Bossi, su tutti il figlio Renzo. Sarebbe stato indubbiamente più semplice e più indolore, il passaggio delle cariche da Bossi a Maroni, senza il pandemonio scoppiato negli ultimi mesi. O forse sarebbe stata una mossa da compiersi probabilmente già alcuni anni or sono. Con il senno di poi, tuttavia, si va poco lontano, specialmente per un partito alle prese con una (momentanea?) crisi di identità, in forte calo di consensi e con un rinnovamento ed una pulizia tanto opportuni quanto obbligati ed inderogabili. Ecco perché, alle 13 e 48 di domenica, in un Forum di Assago gremito ma non troppo, seicentoquattordici delegati provenienti da tutto il nord Italia hanno votato per eleggere Roberto Maroni, unico candidato, alla carica di segretario federale della Lega Nord, affidando a lui l’ingrato compito di traghettare il movimento fuori dalle agitatissime acque in cui si trova da qualche tempo, e riportarlo ad essere protagonista della scena politica nazionale.
Il nuovo assetto si è già intravisto nelle ultime settimane, dalla celeberrima “Notte delle Scope” in avanti, quando Bobo iniziava a muovere i primi passi verso la leadership assoluta. Stop ai fronzoli ed al folklore, un freno alla mitologia nordista, alle ricorrenze pseudo-religiose dal sapore pagano e a tutto ciò che caratterizzava – e spesso metteva in ridicolo agli occhi degli spettatori nazionali – la “vecchia” Lega Nord e che tanto era caro al fondatore Umberto Bossi ed ai suoi seguaci. Via i riflettori dagli eccessi e da manifestazioni quali “Miss Padania”, l’adorazione del “dio Po”, le camicie verdi e tutti quegli elementi che, negli anni di coalizione di centrodestra, hanno messo in imbarazzo gli alleati.
Un partito riveduto e corretto, nelle intenzioni di Maroni, che deve necessariamente ripartire puntando sulle sue vere eccellenze: l’esercito di amministratori regionali e locali, spesso apprezzatissimi, disseminati per tutto il Nord. Il braccio armato della Lega, i “veri diamanti” del movimento: i governatori, i presidenti di provincia, i sindaci, i Flavio Tosi, le Gianna Gancia, i Luca Zaia. «I nostri sindaci e i nostri governatori devono essere i nostri guerrieri», ha affermato, non a caso, nel giorno della sua nomina.
Parte da loro, e non da Roma, la riscossa. E da loro deve partire anche la promessa dell’unità nel movimento che ormai da tempo manca, per diventare, come più volte affermato dai personaggi principali del nuovo corso, Maroni-Zaia-Tosi-Salvini, «il primo partito del Nord», indirizzando i primi missili verso il Pirellone. Un disegno preciso ed ambizioso, quello steso da Maroni e dai suoi colonnelli, che però deve fare i conti con il canonico elefante nella stanza, che risponde al nome di Umberto Bossi, e che si dà il caso sia l’ideatore, il fondatore e, da vent’anni a questa parte, la rappresentazione vivente della Lega Nord.
A molti militanti, al Forum di Assago, ma già in altre occasioni del recentissimo passato, la repentina opera di “pulizia” e la velocità nel cambiare musica, da parte dei nuovi protagonisti, è sembrata un’operazione preparata a tavolino, quasi un piccolo golpe pronto da tempo, da mettere in atto in concomitanza con l’esplosione dell’ordigno mediatico-giudiziario. E le stesse affermazioni di Bossi (giunto con oltre un’ora di ritardo, con il solo proposito, secondo alcuni, di scombinare la scaletta, quasi a ribellarsi ai nuovi regolamenti) nei suoi interventi, sembravano non escludere questa interpretazione, tra una menzione poco gentile nei riguardi di chi agitava le scope, un accenno ai servizi segreti e a chi teneva rapporti con loro, ed un riferimento – non troppo velato – nei confronti di un ipotetico “complotto” ai danni del movimento, della sua famiglia, e della sua persona. Una Lega che sarebbe, per il Senatur, sotto attacco della magistratura, con un piano “studiato a tavolino”: «la Lega non ha rubato niente», ha tuonato, con la consueta voce roca, «i ladri sono altri, i ladri sono a Roma».
Parole che ricordano quelle di un tempo, ma che vengono accolte con emozioni diverse dalla platea: c’è chi applaude, chi fischia, chi rimane in silenzio, a metà strada tra l’attonito e l’incredulo. Dichiarazioni contrastanti con l’atmosfera dell’assemblea leghista, una stecca nel coro di peana per Maroni, la variabile impazzita che rovina la festa al nuovo leader, e che evidenzia che il conto, con Bossi e con i bossiani di origine controllata, è tutto fuorché chiuso. Il fondatore del partito è ancora più esplicito più tardi, quando giunge persino a fare una citazione biblica, ricordando al pubblico la parabola del re degli Israeliti Salomone di fronte a due madri che si contendevano il figlio. «Per chi non ha ancora capito - ha affermato Bossi - piuttosto che accettare la divisione, dico non tagliate questo bambino, questo l’ho fatto io, il bambino è di quello che non lo vuol tagliare a metà». «E io dico, fermi! - ha concluso l’Umberto padano in lacrime - il bambino è suo». Un inaspettato riferimento biblico, che ha confermato, ancora una volta, quanto Umberto Bossi stia soffrendo il cambio della guardia, quanto stia patendo l’ascesa di Maroni ed il conseguente invito ad uscire dalla scena, quanto poco sia disposto a farsi da parte e lasciare la Lega Nord, il suo bambino, nelle mani di altri.
Un nodo non semplice da sbrogliare, per il nuovo segretario. L’ostacolo forse più alto da superare, senza traumi né scossoni, per ritrovare l’unità, dare finalmente vita al nuovo corso, e presentarsi agli elettori – quelli delusi in primis – con una rinnovata credibilità, recuperare i voti perduti, e lanciare un’offensiva sul nord in generale, e sulla Lombardia in particolare. L’installazione della versione 2.0 della Lega Nord è appena iniziata: è ora necessario qualche test sul campo, per verificare se funziona, e se il sistema ha risolto i difetti del passato.
di Cristiano Bosco