Le colpe del Csm nella malagiustizia

domenica 1 luglio 2012


Non intendo qui soffermarmi sul fatto, peraltro non secondario, che la nostra Costituzione all’articolo 105 assegna esplicitamente al Consiglio Superiore della Magistratura il compito di effettuare le “promozioni” dei nostri magistrati e che l’organo di autogoverno, promuovendo tutti in base all’anzianità,  si sia reso responsabile di una sostanziale violazione del dettato costituzionale, salvo a non voler ritenere che il nostro costituente volesse dare al termine “promozioni” un significato radicalmente diverso da quello che ha nella lingua italiana.

Quello che qui mi importa sottolineare è la relazione che lega organicamente  promozioni ed efficienza in tutte le organizzazioni che, come la nostra  magistratura, reclutano persone relativamente giovani, senza precedenti esperienze professionali che di regola permangono in servizio per la loro intera vita lavorativa (da noi 8/9 lustri).

In queste organizzazioni servono, cioè, a verificare che i magistrati, inizialmente in possesso di conoscenze solo teoriche, maturino poi effettive capacità professionali; servono, successivamente, a selezionare coloro che (per capacità professionali ed impegno lavorativo) sono più qualificati per coprire le vacanze ai livelli più alti della giurisdizione; servono per verificare, cosa non meno importante, che essi conservino le loro capacità lungo tutto il corso dei 40/45 anni di permanenza in servizio e fino all’età del pensionamento; servono infine a fornire informazioni utili per destinare i magistrati alle funzioni più consone alle loro caratteristiche personali e competenze professionali.   Queste garanzie  presenti anche nel nostro assetto giudiziario sino alla fine degli anni 1960, sono in varie forme ancora ben presenti negli altri sistemi giudiziari dell’Europa continentale (Germania, Francia, Belgio, Olanda ecc.) tutti sistemi che evidenziano una efficienza nettamente superiore a quello della nostra giustizia.  

Da noi  il Csm ha ritenuto che se ne potesse fare a meno a partire da quello eletto nel lontano 1968 quando l’Associazione Nazionale Magistrati (Anm), in nome dell’indipendenza interna, invitò i magistrati a votare solo per i candidati che si impegnavano a non tener conto dei titoli giudiziari nell’effettuare le promozioni. Un orientamento ad effettuare promozioni generalizzate senza sostanziali e selettive valutazioni di professionalità che il Csm ha mantenuto costante nel tempo e che di recente, come già detto, si è persino accentuato. 

E’ possibile immaginare che l’assenza di reali e competitive valutazioni della professionalità non sia tra le principali cause dell’inefficienza della nostra giustizia?  Equivarrebbe ad affermare che il concorso in magistratura, peraltro di scarsissima attendibilità selettiva , abbia virtù divinatorie o magiche, cioè sia di per sé sufficiente a garantire crescita professionale e impegno lavorativo per i successivi 40-45 anni di permanenza in servizio.  Sarebbe lo stesso che affermare che il  permanere di sistemi di selezione competitiva negli altri paesi dell’Europa continentale non abbiano alcuna rilevanza nello spiegare la loro maggiore efficienza, ma siano solo l’espressione di un orientamento sadico di quei paesi nei confronti dei loro giudici (ad esempio in Germania solo tra il 5-10% dei giudici vien giudicato “eccellente”, e solo tra questi giudici viene scelto il ristretto numero di coloro che raggiungono i vertici della cassiera).  Aggiungo che nel corso delle numerosissime interviste da me fatte negli anni passati negli uffici giudiziari molte sono le testimonianze di magistrati che segnalavano lo scarso impegno di colleghi e ne facevano risalire la causa all’assenza di reali valutazioni della professionalità e diligenza.  

Un fenomeno confermato dalle mie esperienze di Consigliere del Csm tra il 2002 ed il 2006. Alcuni magistrati lo hanno dichiarato pubblicamente pagandolo  a caro prezzo, vedendosi poi negare dal Csm incarichi per cui erano pienamente legittimati. Tra essi Corrado Carnevale che venne denunziato per vilipendio della magistratura dalla procura di Agrigento (il ministro non diede l’autorizzazione a procedere), e Giovanni Falcone il quale subì anche una dura reprimenda da parte del Comitato direttivo centrale dell’Anm per aver detto in un pubblico convegno che: «Occorre rendersi conto, infatti, che l’indipendenza e l’autonomia della magistratura rischia di essere gravemente compromessa se l’azione dei giudici non è assicurata da una robusta e responsabile professionalità al servizio del cittadino.  

Ora, certi automatismi di carriera... sono causa  non secondaria della grave situazione in cui versa attualmente la magistratura.

La inefficienza dei controlli sulla professionalità, cui dovrebbero provvedere il Csm ed i consigli giudiziari, ha prodotto un livellamento dei magistrati verso il basso».

In un sistema ove tutti raggiungono, a prescindere da sostanziali valutazioni della professionalità, il massimo livello della carriera e dello stipendio, della pensione e della liquidazione, ciò che sorprende non può certo essere l’esistenza di quei fenomeni di scarso impegno e di mediocrità di cui parla Falcone, quanto piuttosto deve destare meraviglia ed ammirazione il fatto che, nonostante l’assenza di stimoli e riconoscimenti istituzionali, vi siano comunque numerosi magistrati di alta professionalità ed impegno lavorativo, che resistono alla demotivazione di vedere anche i meno impegnati ricevere le loro stesse elevate valutazioni e gratificazioni di carriera ed economiche.

Non dirò, come si usa, che quei meritevoli magistrati sono la grande maggioranza, perché non lo so, così come non lo sanno neppure coloro che lo affermano. 

Ricordo invece che un noto studioso di sistemi giudiziari, Arthur Vanderbilt, diceva che per una funzione tanto delicata quale quella del giudice, la mediocrità è più pericolosa della stessa corruzione, perché è molto meno facile da individuare e molto più difficile da rimuovere.

Anche qui aggiungo che ho considerato solo una delle gravi disfunzioni che derivano dall’abolizione di fatto  delle valutazioni di professionalità. 

Disfunzioni che non sono presenti negli altri paesi, come ad esempio le difficoltà nella copertura delle sedi non gradite e la commistione tra classe politica e magistratura. Disfunzioni che ho più volte analiticamente documentato nei miei scritti degli ultimi quarant’anni, mai ricevendo documentate e pertinenti smentite.  

Mi rendo pienamente conto che reintrodurre valutazioni di professionalità simili a quelle degli altri paesi democratici dell’Europa continentale presenta enormi difficoltà e certamente non sarebbe possibile mantenendo le valutazioni nelle mani di organi, consigli giudiziari e Csm, composti in stragrande maggioranza da rappresentati del sindacato della magistratura.

Non a caso in altri paesi, come Francia e Belgio, le valutazioni di professionalità non sono affidate al Consiglio superiore della magistratura, ma ad organismi meno inclini a favorire le aspettative corporative.

In un Convegno prioritariamente volto a chiedere rimedi per le intollerabili condizioni di vita nelle nostre carceri, avrei voluto parlare dell’assistenza legale ai meno abbienti che certamente riguarda la maggioranza dei detenuti. 

Purtroppo negli ultimi anni non ho mantenuto aggiornati i miei dati sulla situazione negli altri paesi. Un dato vorrei comunque indicarlo per sollecitare una riflessione sulle nostre carenze nel settore.

Regno Unito e Italia destinano le stesse risorse complessive al settore giustizia, ma mentre nel Regno Unito la percentuale di  risorse finanziarie destinate alla difesa dei meno abbienti  si aggira sul 45% del totale in Italia la percentuale è meno del 3%.

Abbiamo invece il primato delle risorse finanziarie destinate agli stipendi del personale,  che da noi raggiunge il 76% del totale (a fronte del 55% in Francia).

(3 / fine)


di Giuseppe Di Federico