Una dittatura per il nostro bene

sabato 30 giugno 2012


Le politiche del 2013 si confermano il vero mal di testa per vertici confindustriali e bancari, nonché di gran parte d’onorevoli e senatori. Come aggirare le urne e confermare Monti per un altro anno? Il presidente della Repubblica ha già detto che nel 2013 si vota. Ma la fine naturale della legislatura è a fine aprile 2013, quindi i sostenitori della linea più ortodossa potrebbero chiedere di aprire le urne a fine giugno, quando le scuole sono chiuse. È abitudine consolidata che in Italia si voti a scuole aperte, quindi se non si votasse ad Aprile forse un miracolo permetterebbe di rinviare tutto ad ottobre 2013. Un miracolo, capace di permettere a questo Parlamento di godersi in santa pace l’estate 2013.

Votare è per il Palazzo comunque un salto nel vuoto, equivale ad affidare il destino delle grandi cose ad una croce messa su un pezzo di carta da un povero uomo di strada. Soprattutto è da scongiurare un voto anticipato. «Votare a ottobre 2012 sarebbe un salto nel buio per l’Italia intera, e chi si dovesse assumere questa responsabilità sarebbe chiamato a risponderne davanti agli italiani», afferma con toni austeri il presidente della Camera, Gianfranco Fini, rispondendo ai giornalisti a margine della cerimonia per i 320 anni del convitto Cicognini di Prato. «Elezioni anticipate? Io sono pronto a evitare il baratro al paese», fa eco il leader dell’Udc, Pier Ferdinando Casini, rispondendo su Twitter ad un giornalista che gli dice «mi sa che anche lei è pronto per le elezioni anticipate». A dare manforte al partito del Palazzo ci si mette anche Confindustria: «I conti pubblici migliorano vistosamente, ma si allontana il pareggio di bilancio», scrive il Centro studi di Confindustria. «Il deficit pubblico nel 2013 sarà a -1,6% del Pil e non di -0,1% come prospettato a dicembre - continua il sindacato degli industriali - Nel 2012 si assesterà invece a -2,6%, in peggioramento di 1,1 punti a causa della crisi». Lo sanno anche le pietre che il tallone d’Achille dei capitani d’industria si chiama democrazia, partecipazione. «Anche se non siamo in guerra i danni economici fin qui provocati dalla crisi sono equivalenti a quelli di un conflitto e a essere colpite sono state le parti più vitali e preziose del sistema Italia», rileva il centro studi di Confindustria, dando ragione a chi vorrebbe congelare le urne fino a fine crisi. «Colpite le parti da  cui dipende il futuro del paese», così Confindustria parla di una crisi sta avendo effetti di guerra per «errori recenti e mali antichi», e sottolinea che «gli errori recenti sono stati inanellati nella gestione dell’eurocrisi». Insomma, per gli industriali l’andare a votare è tempo sottratto alla produzione. E, tra i fattori che hanno portato a rivedere al ribasso le stime del Pil, il centro studi di Confindustria evidenzia la mancanza di «una soluzione rapida della crisi dei debiti sovrani dell’eurozona». Ecco che Confindustria punta il dito contro le elezioni in Grecia, dimostrazione lampante di come l’euforia delle urne distragga un intero paese dagli obiettivi economici. «Le istituzioni europee - rileva Confindustria - non sono riuscite

a trovare una soluzione praticabile e credibile, a causa della contrapposizione degli interessi tra singoli stati». Insomma, per quelli di viale dell’Astrologia si farebbe bene a vendere tutta la nostra sovranità in cambio di danaro fresco. «Non credo di essere stato catastrofista come hanno detto oggi i giornali ma l’economia reale ce l’abbiamo tutti sotto gli occhi», si giustifica il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, rivolgendosi a imprenditori e politici. «Non siamo ancora nell’abisso - aggiunge Squinzi - siamo però sull’orlo, siamo un un momento particolarmente negativo. Quanto ai dati molto negativi sul Pil (-2,4%) potrebbero peggiorare di qualche decimale a fine anno». E Confindustria ci dice che il predicozzo è a fin di bene, per ricordarci che «il nostro futuro è l’Europa e che, secondo il Centro studi, una dissoluzione dell’euro porterebbe ad una riduzione del 25% del Pil europeo». È da quando s’è insediato che Squinzi ci rammenta che «non ci possiamo permettere di non fare l’Europa, dobbiamo andare avanti con determinazione: in particolare, la strada da seguire è tracciata dai cinque punti di Confindustria». Il presidente Squinzi li ricorda quotidianamente, più spesso d’un monaco trappista, «l’importanza di una Bce con poteri da vera banca centrale a cui si aggiunge un necessario coordinamento tra politiche fiscali, sistemi di welfare, politiche infrastrutturali e politiche energetiche». Insomma, politica e sovranità per Confindustria andrebbero appaltate alla Bce: che vuol dire che i popoli dovrebbero votare consiglieri d’amministrazione di banche e non di parlamenti? A suo avviso Squinzi dice di «dare prospettiva e speranza al nostro futuro, senza questi punti l’euro diventa una speculazione artificiosa ed esposta alla finanza internazionale: progressivamente dovremo tutti rinunciare ad una parte delle nostre sovranità territoriali, nessuna nazione può resistere da sola alla competizione mondiale».

A dare manforte a Squinzi ci si mette anche Alessandro Pansa (direttore generale di Finmeccanica): «Sono fondamentalmente un pessimista. Penso che i prossimi mesi saranno peggiori degli anni passati - così Pansa commenta i dati del Centro studi di Confindustria - il governo fa quello che può e lo fa benissimo. In Italia - ha aggiunto - oggi abbiamo un problema di rischio paese che travalica qualsiasi istituzione economica. È qualcosa che viene da lontano, il prodotto di 15 anni di scelte di finanza pubblica e politica industriale». E a proposito del lavoro che sta facendo il governo, Pansa ha osservato che «la performance di un paese non può dipendere da un gruppo di 15 persone, brave, capaci e perbene, e menomale che le abbiamo, ma non sono dei padreterni». Il problema di rischio paese che ha oggi l’Italia, per Pansa «non sparirà domattina e nemmeno il più taumaturgico dei governi, nemmeno il più veloce abbattimento dei tassi di interesse consentirà alle imprese del paese di non giocare con la mano destra dietro la schiena nella competizione per attrarre capitali di rischio». «Abbiamo un handicap - confessa Pansa - e ce lo portiamo avanti per un numero di anni che per molti andrà oltre l’età della pensione. Non possiamo pensare che 20 anni di certi comportamenti li risolviamo con due vertici europei o con il migliore dei governi possibili». Passateci la battuta, ma qui in troppo s’auspicano una dittatura tecnocratica per “il bene del Paese”: quanto ci vogliono bene.


di Ruggiero Capone