L'asse Casini-Bersani paralizzerà l'Italia

mercoledì 27 giugno 2012


Dunque, come ampiamente riportato dalla stampa, il sempre più ondivago Casini ha aperto al Pd. 

La sua idea sarebbe quella di una grande coalizione tra moderati e progressisti, sebbene il suo elettorato potenziale si attesti intorno al 6/7%. E tra gli obiettivi di questa strana alleanza il leader dell’Udc pone l’ambizioso progetto «di arrivare agli Stati uniti dell’Ue». Il che equivarrebbe a dire, se le cose resteranno tali in molti paesi come il nostro, unione politica dei “buffi”, come si dice a Roma. 

Battute a parte, e tornando alle ben più stringenti questioni interne, per come sta rapidamente evolvendo la situazione economica e finanziaria dell’Italia, la politica degli annunci e delle alchimie tra i partiti oramai ha fatto il suo tempo. 

Con un piede già  nel baratro, il paese avrebbe bisogno di ben altro per allontanare definitivamente il rischio concreto un catastrofico fallimento. 

Al di là delle sigle e degli obsoleti riferimenti politici come, ad esempio, la sempre più vaga differenziazione tra moderati e progressisti, a grandi linee non sembra che vi siano alternative a ciò che si dovrebbe fare per rimettere in carreggiata il sistema, evitando di tornare in massa a coltivare un pezzetto di terra per sopravvivere: ridurre drasticamente il perimetro pubblico, con tutto l’enorme carico di spese e di relative tasse che ciò comporta. Un enorme carico il quale, a questo punto, risulta assolutamente incompatibile con lo sviluppo economico del paese, mettendone a repentaglio la stessa tenuta finanziaria nel breve e nel medio periodo, come dimostra la grande crisi di liquidità in atto. 

Pertanto in soldoni, a prescindere dall’etichetta elettorale, chiunque ambisca ad allontanare l’Italia dallo spettro del default, dovrà necessariamente cominciare a dare delle robuste sforbiciate ad un sistema politico-sindacal-burocratico che controlla circa il 55% del Pil. 

Per intenderci qualcosa di assai più corposo rispetto alla sempre più risibile spending review messa in campo dal governo Monti, ridottosi a tentare  di risparmiare, letteralmente, sulle matite e le fotocopie dei ministeri. Ciò significa in termini generali riduzione di tutte quelle enormi competenze pubbliche in cui si annidano ogni forma di privilegi e di sperperi. 

Ora, considerando il bacino elettorale su cui pesca da sempre il Pd, appare compatibile una alleanza con gli eredi di quello che fu il più grande partito comunista dell’Occidente, con al centro una piattaforma che contenga misure tanto impopolari, soprattutto a sinistra? Data soprattutto la contiguità con i campioni campioni del collettivismo sindacale della Cgil, è concepibile che un Bersani qualsiasi, al fine di compiacere la mosca cocchiera Casini, possa sposare una linea rigorista che passi quasi esclusivamente dal lato dei tagli alla spesa pubblica? 

Io dico che ciò non è politicamente fattibile e che, dunque, qualunque forma di alleanza con i paladini del welfare all’amatriciana non può che condurre alla paralisi sul piano delle dolorose ma necessarie riforme strutturali, così da provocare l’inevitabile fallimento del paese. 

A meno che lo stesso Casini, come d’altronde quasi tutti i politici di professione da molti decenni a questa parte, non si illuda che il nostro stellone possa consentire allo stivale di uscire dai guai senza colpo ferire, magari sperando di agganciare una ripresa mondiale che ancora non si intravede all’orizzonte. 

Ma, come si suol dire, chi di speranza vive disperato muore.


di Claudio Romiti