Quelle intercettazioni "doppiate" dai periti

giovedì 14 giugno 2012


Giuseppe Savoca è un magistrato che è stato anche componente del Csm. Oggi non è più niente, o quasi. Distrutto anche lui dalla malagiustizia all'italiana. Sezione intercettazioni e trascrizioni di fantasia. Per non dire peggio. Quella stessa malagiustizia che, secondo Marco Pannella (che non a caso ha ripreso da giorni lo sciopero della fame per sensibilizzare le massime istituzioni, a cominciare dal Capo dello stato, che recepisce a giorni alterni, sul problema della "grande amnistia per la repubblica") e gli osservatori internazionali Ocse dell'Italia, costa più di un punto di Pil all'anno tra penale e civile, tra sciatteria, prepotenza, burocratismi ed errori giudiziari a raffica. Oltre che per la lentezza del processo. Penale, civile o amministrativo che sia.

Il caso di Savoca è stato tirato fuori, adesso che è in via di faticosa risoluzione, dall'avvocato Giandomenico Caiazza nella propria rubrica su Radio Radicale che si intitola "Il rovescio del diritto". Nel 2005, questo magistrato, insieme a un avvocato e a un altro imputato, fu messo agli arresti domiciliari con l'accusa infamante di avere "aggiustato" i processi della mafia locale e di avere persino raccolto confidenze sull'omicidio del rettore dell'università di Messina, Matteo Bottari, avvenuto il 15 gennaio del 1998. Tutto sulla base di un'intercettazione ambientale fatta in maniera poco professionale quattro anni prima e trascritta in maniera molto sospetta a distanza di anni. Dopo gli arresti, la gogna e i titoli sui giornali però, quasi nessuno sa come è finita la vicenda che di fatto ha distrutto la carriera di un magistrato, senza che l'Anm o il Csm (di cui pure Savoca ha fatto parte in passato) abbia mosso il benchè minimo rilievo. Ebbene la cosa è finita così: adesso sono sotto processo ben quattro ex agenti della divisione investigativa antimafia all'epoca di stanza a Messina nonché due periti fonici: tutti accusati di falso e di calunnia contro il magistrato e gli altri due suoi ex coimputati. E la Cassazione recentemente ha annullato una sentenza di archiviazione disposta dal gip del tribunale di Lecco.

Cosa è successo, si chiederà a questo punto il lettore? A usare un eufemismo si potrebbe dire che per un vizio tecnico le intercettazioni fatte in un bar di Messina nel 2001 con un registratore da tasca, e non con una professionale microspia ambientale, erano tutte smagnetizzate. 

Ma a volere dire le cose come stanno, il problema nacque dalle successive trascrizioni operate dai periti, che invece riempirono di fatti e circostanze precise, con tanto di indicazioni di 261 nomi propri tra località e persone, il vuoto dei nastri demagnetizzati. E tra i nomi, le persone e le circostanze veniva fuori l'aggiustamento di una serie di processi da parte del dottor Savoca, la sua consapevolezza su circostanze dell'omicidio dell'ex rettore della Università di Messina e, anche, tanto per gradire, nomi e luoghi di traffici di stupefacenti all'ingrosso.

In aula, su proposta dell'allora procuratore capo  di Reggio Calabria, Giuseppe Pignatone, gli imputati vennero invece prosciolti e gli atti restituiti alla procura, che poi per competenza li mandò a Lecco dove risiedevano le società che si occupavano di trascrizioni delle intercettazioni per conto della procura di Reggio Calabria, competente a giudicare quando ci sono magistrati di là dallo Stretto, perché procedesse per falso e calunnia. Ma da Lecco, dove il perito Giovanni Battista Pirinoli, uomo chiave di tutto questo caso, è molto conosciuto e stimato, arrivò una richiesta di archiviazione dalla procura locale poi accettata dal Gip Gian Marco de Vincenzi. 

Il nucleo della decisione assolutoria era questo: «i periti valutano di non univoca interpretazione almeno in parte le registrazioni realizzate presso lo studio del dottor Panzara (...) riguardo alla cassetta afferente il bar Grillo se la trascrizione disposta dai membri della Dia di Messina odierni imputati si discosta da talune delle altre trascrizioni formatesi nel corso del procedimento si rivela ampiamente conforme a quella posta in essere dal perito Pirinoli, il quale proprio in ragione di tale circostanza veniva originariamente indagato. E tuttavia stante l'assenza di comprovati legami o rapporti tra quest'ultimo e i co indagati non si comprende perché questi avrebbe dovuto stilare una consulenza non conforme al vero». Insomma, massima garanzia per chi in ogni caso si era reso autore di trascrizioni in cui i voli di fantasia interpretativa erano giunti a riempire 31 minuti di nomi, date e circostanze in quello che poi la Cassazione chiama, annullando la sentenza del gip, un caso di «miraggio collettivo». Perché il lettore possa farsi un'opinione, va inoltre detto che Pirinoli è il perito di trascrizioni foniche di fiducia di molte direzioni distrettuali antimafia, e quasi tutti gli addetti i lavori lo conoscono. Inoltre, al momento delle intercettazioni ambientali del 2001, gli agenti non avevano redatto alcun rapporto di accompagno che di solito invece viene fatto per prassi quando i nastri contengono qualcosa di penalmente rilevante. Infine, in aula Gip a Messina, il perito del giudice stabilì che non c'era neanche concordanza tra i tempi delle sillabe pronunciate e le trascrizioni: una sorta di doppiaggio, infedele e fuori sinc. Per il gip di Lecco però in mancanza di certezze foniche poteva essere legittima ogni possibile interpretazione, a quanto pare.

Al di là del "come andrà a finire la storia", c'è già un'istituzione sconfitta in partenza: la giustizia. E si calcolino i costi per il contribuente di un'indagine andata avanti per undici anni per poi produrre un processo per calunnia  e falso a carico di alcuni dei consulenti della pubblica accusa. Da un processo ne nascono tre, comunque vada a finire qualcuno si farà male, ma certo in termini di produttività antimafia questa tranche d'indagine dai risvolti fantozziani è prossima allo zero.


di Dimitri Buffa