mercoledì 13 giugno 2012
«Per quanto mi guarda sono favorevole ad una riforma delle istituzioni in senso semipresidenziale». Parola di Antonello Cabras, senatore del Partito democratico, da anni descritto come uomo molto in sintonia con le scelte e le posizioni assunte dal segretario Pierluigi Bersani. Un rafforzamento del ruolo del Quirinale è per Cabras «il solo modo per non trasferire l'evidente crisi dei partiti all'interno delle istituzioni».
Ieri il testo semipresidenzialista del Pdl è arrivato in
aula al Senato. Domani probabilmente ci sarà il voto finale. Che fa
il Pd?
Il segretario ha spiegato che non è possibile affrontare
ora una riforma del genere, perché un cambiamento così radicale
renderebbe necessarie ulteriori modifiche costituzionali per le
quali il tempo non sarebbe sufficiente.
Qualche apertura è sembrata arrivare dall'ultima
direzione nazionale.
Non c'è stata nessuna chiusura su un tema che noi tutti
riteniamo rilevante, questo è certo. Ma il modello istituzionale
che è stato indicato dal partito è quello parlamentare, con un
rafforzamento della figura del presidente del Consiglio.
Un premierato, più che un presidenzialismo?
È quella la formula, pur non essendo il
semipresidenzialismo un tema estraneo al dibattito interno al Pd.
Se separassimo la riforma del sistema di governo dal sistema dei
bilanciamenti e dei contrappesi istituzionali, i tempi ci
sarebbero. Ma se affrontiamo le altre tematiche, come è del tutto
opportuno fare, il problema è più complesso.
Ma un ragionamento complessivo la vedrebbe
favorevole.
Sicuramente. Un cambio della forma di governo eviterebbe
di trasportare l'estrema frammentazione del sistema partitico nel
sistema istituzionale. Si guardi in Francia. Se la partita delle
legislative si fosse chiusa con il primo turno, sarebbero
nell'impossibilità di definire una maggioranza di governo. È il
secondo turno a garantire la governabilità. E a permettere così di
evitare uno scenario "alla greca".
Sarebbe entusiasta di importare il sistema
francese.
È quello più adatto ai nostri tempi. Sia dal punto di
vista delle istituzioni, che per i cittadini. Gli italiani sono
abituati da anni a eleggere direttamente il proprio sindaco e i
propri presidenti di provincia e di regione. Non vedo perché non
possano avere la medesima possibilità anche nei confronti di chi
guida il paese.
Lo importerebbe così com'è?
Probabilmente unirei le elezioni presidenziali a quelle
legislative. In Italia rischieremmo di avere un effetto elastico,
che consegni al paese un presidente di un certo orientamento e la
maggioranza parlamentare di quello opposto. Ad ogni modo, la
Costituzione francese prevede anche questa ipotesi, che si è
verificata in passato. Dunque non sarebbe un dramma.
C'è un disegno di legge dell'onorevole Giuseppe
Calderisi, del Pdl, che propone un sistema simile. Potrebbe essere
la bozza su cui imbastire la discussione?
Sicuramente potremmo partire dal testo Calderisi per
poter costruire un discorso di questo genere. Anche se l'articolato
del deputato del Pdl non prevede la contestualità della riforma
presidenziale con gli altri aggiustamenti della Costituzione che
sarebbero necessari. Occorre però che ci siano spazi e volontà
politica.
Non ne vede?
Ci sono alcuni segnali. Si potrebbe rilanciare l'idea di
introdurre in Costituzione il referendum propositivo, come
suggerito da Vannino Chiti e Luciano Violante. Certo, sarebbe
opportuno pensarlo al dettaglio e regolamentarlo, ma se ci fosse
una forte spinta popolare in questa direzione faciliterebbe le
cose.
Doppio turno anche per l'elezione del Parlamento?
La posizione del partito è quella. Vedo gli spazi per un
possibile accordo, ma sulla base dell'intesa raggiunta a suo tempo
dai "saggi" dei principali partiti. Anche se quello sul modello
ispano-tedesco è un accordo maturato in tempi politici differenti
da quello in cui stiamo vivendo. Un compromesso estremamente al
ribasso. Lo si dovrebbe aggiornare rivedendo il premio di
maggioranza, per esempio. Certo che se nel centrodestra si
allargasse il fronte dei favorevoli al doppio turno, le cose
potrebbero cambiare.
di Pietro Salvatori