sabato 9 giugno 2012
Martedì scorso la Corte di Cassazione ha nuovamente respinto la richiesta di revisione del processo avanzata dall'ex numero due del Sisde, Bruno Contrada, condannato a dieci anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa.
«Un simile provvedimento - dice l'avvocato Giuseppe Lipera, difensore di Contrada - non può essere condiviso: è ingiusto e, anche se ormai è palese che nessun giudice abbia intenzione di diradare la fitta nebbia che avvolge il mio assistito e di approfondire la vicenda che lo riguarda, non rinuncerò mai a difendere e gridare la sua più totale innocenza, la sua assoluta estraneità ai fatti che gli sono addebitati».
In che senso "nessun giudice"? Sarebbe in atto un complotto della magistratura contro il suo cliente?
Non ho detto questo. Constato però, ed è lampante, che non ci sia stata alcuna volontà di approfondire i dubbi e le perplessità che appaiono evidenti a chiunque, le domande ultime sono: perché Vincenzo Scarantino mentì? Perché disse quelle bugie? Perché calunniò Bruno Contrada? Perché gli atti di indagine della polizia, che riscontrarono negativamente le accuse del "pentito", non furono versati nel fascicolo del pubblico ministero? Ma ce ne sarebbero tante altre da porre. La conseguenza legittima oltre che lecita è pensare che anche altri "pentiti" potrebbero essere stati imbeccati per accusare Contrada. Perché? Da chi? Queste risposte si cercavano attraverso la revisione, ma ci è stato impedito.
Una irregolarità processuale e nuovi elementi non valutati. Erano o no nuovi elementi tali da legittimare la chiesta revisione del processo?
Sul piano strettamente tecnico processuale: se la Corte di Appello di Caltanissetta ebbe ad emettere decreto di citazione a giudizio, ordinando cioè il nuovo processo, che senso ha avuto emettere sentenza di inammissibilità della domanda di revisione senza dare alcuno sfogo istruttorio? Perché allora non emise prima ordinanza di inammissibilità? Secondo noi il codice di procedura penale è chiaro e le scelte erano appunto solo due: o emettere ordinanza di inammissibilità, cosa che la Corte non ha ritenuto di fare, o disporre il nuovo processo. La Corte ha scelto una terza via e la Cassazione pare darle ragione. Sono curioso di leggere quello che scriveranno per giustificare questa ulteriore creazione giurisprudenziale. In Italia siamo abituati anche a questo, ormai e purtroppo. Vedi il "concorso esterno mafioso", che non è previsto da nessuna norma, però vige in quanto creato dalla giurisprudenza. Ma non fu la Procura Generale della Cassazione alcuni mesi fa a dire che non ci credeva più nessuno a questo reato?
E, almeno secondo il procuratore generale Sante Spinaci, non ci sarebbero le prove neppure per sostenere «un complotto dei pentiti ai danni di Contrada»…
Ognuno è libero di ragionare come crede, figuriamoci, vige in Italia il pensiero che questa sia normale dialettica.
Io però non sono d'accordo. Il processo penale non è un salotto per discutere tra filosofi o artisti. È un laboratorio dove si deve cercare solo la verità, senza ricorrere a cavilli o dare spazio a furberie delle parti. La richiesta del sostituto procuratore generale Spinaci, in ogni caso, non è stata accolta totalmente perché questi aveva chiesto che la Corte dichiarasse inammissibile il ricorso mentre è stato solo rigettato (una sottile distinzione che però l'uomo della strada non può capire). Quando leggeremo le motivazioni capiremo meglio e vedremo che altre iniziative intraprendere. Arrenderci o fermarci sono verbi che non ci appartengono, quando riteniamo di essere dalla parte del giusto e del vero!
Poi, appunto, c'è la vicenda legata al libro del magistrato Antonio Ingroia Nel labirinto degli dei…
Tutto nasce da lì, infatti. E nella domanda di revisione prima e nel ricorso in Cassazione poi si era spiegato benissimo tutto questo. Leggendo quel libro io appresi delle dichiarazioni accusatorie di Scarantino e delle indagini di polizia giudiziaria disposte da Ingroia. Ripeto: tutti questi atti non erano nel fascicolo del pm del processo contro Contrada. Tentai di fare delle indagini difensive, alla luce del sole ovviamente, per cui andai in carcere ad ascoltare Vincenzo Scarantino (videoregistrandolo) e poi cercai di sentire lo stesso Antonio Ingroia e Alfredo Morvillo, che erano i pm del dibattimento e Giancarlo Caselli, che era procuratore capo di Palermo all'epoca, ma questi non si presentarono nel mio studio, né giustificarono la loro assenza. Se invece si fosse fatto il processo di revisione avrebbero avuto l'obbligo di comparire avanti la Corte e spiegare perché presero quella decisione. Eppure, nonostante la evidente irregolarità, a dispetto di formali esposti e denunzie, tutti hanno ritenuto di seppellire questa circostanza: dal ministro della Giustizia silenzio totale, il p.g. presso la Corte Suprema di Cassazione ha archiviato, il procuratore della Repubblica di Caltanissetta non ha neppure chiesto l'archiviazione al g.i.p., come si fa di solito in questi casi, ma addirittura disposto l'archiviazione agli atti del proprio ufficio, cosa che impedisce materialmente al denunciate di proporre opposizione. È normale tutto questo?
Nelle ore successive alla sentenza, lei ha definito il pronunciamento «non solo ingiusto nei confronti del Dott. Contrada, ma anche nei confronti del diritto e degli operatori tutti». Un po' dura come dichiarazione…
Non è dura affatto. È la verità, cioè è quello che penso con assoluta convinzione. Le regole del gioco, almeno quelle, devono essere certe e devono essere rispettate. Solo che il processo non è un gioco… è un dramma umano innanzi tutto, che può provocare tragedie enormi.
In conclusione, come ha preso la decisione della Suprema Corte il dottor Contrada?
Cosa abbia pensato lui, nella sua testa, non lo so. Forse eravamo più arrabbiati noi (io con gli stupendi colleghi del mio studio) che lui. Penso, comunque, che in cuor suo un tantino ci sperasse, anche se non lo ha mai esternato. Tuttavia la coscienza di non aver fatto nulla di male continua a sorreggerlo. Ma deve essere stata un esperienza, che si perpetua del resto ancora oggi, durissima. Devastante. Quel che più mi sconforta è sentirlo e vederlo che sta male. Non solo perché ha quasi 81 anni, ma perché gli ultimi venti della sua vita sono stati un vero calvario, ingiusto ed immeritato: a parte il ginecologo credo che lo abbiano visitato tutti i medici specialisti di ogni ramo. Adesso poi non può più fumare, perché ha seri problemi di respirazione, e questo lo rende senz'altro più nervoso. E ha battiti cardiaci molto bassi. È dimagrito molto, ultimamente, e mangia pochissimo. Non so se abbia ancora tanta voglia di vivere. Chiunque al suo posto avrebbe desiderio di abbandonare presto la vita terrena, ma noi, testardi e cocciuti come siamo, guardiamo sempre avanti. E questo non lo potrà dichiarare inammissibile nessuno. Anzi vorrei lanciare un appello: secondo noi Bruno Contrada è stato vittima di un complotto "interno", altro che concorso "esterno". Per cui chiedo: chi sa parli, adesso, con la speranza di trovare poi un giudice che sia disposto a valutare e considerare una eventuale nuova prova. Ma questo, purtroppo, non si può sapere in anticipo.
di Gianluca Perricone