venerdì 25 maggio 2012
Non sembra più il paese a cui si ispirò Coppola nel suo celebre film Il Padrino. Non si vedono in giro più tante coppole come un tempo, e rigorosamente sempre di nero, ormai, si vestono solo le donne più anziane. Una Corleone che è cambiata anche in questo stereotipo e sta cercando di scrollarsi di dosso l'immagine di città della mafia ha accolto, ieri, con molto calore, il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, in occasione del funerale di stato di Placido Rizzotto, il sindacalista socialista ucciso nel 1948 per mano della mafia, strumento dei latifondisti del tempo.
Un riconoscimento atteso da 64 anni che avviene il giorno dopo le commemorazioni delle stragi di Capaci e Via D'Amelio. Una data non casuale, con la quale il capo dello stato ha voluto stabilire un ideale collegamento tra un eroe civile del passato e gli uomini simbolo della lotta a Cosa Nostra. Tra Palermo e Corleone il filo conduttore è lo stesso: «Rendere onore a chi ha combattuto e anche pagato con la vita. I sacrifici hanno dato loro frutti », ha affermato Napolitano. «C'è molto di nuovo in Sicilia e nella coscienza dei siciliani, in particolare modo nei giovani. Questo è un elemento di forza per tutto il paese. Non abbiamo mai pensato che la mafia fosse finita, ma pensiamo che finirà».
Una folla di ragazzi, tanti cittadini, sindacalisti ed anche i soci delle cooperative che gestiscono le terre confiscate dei boss hanno gremito la chiesa di San Martino e la piazza principale di Corleone dove, attraverso uno schermo gigante, hanno potuto assistere al funerale. Una grande partecipazione della cittadinanza, che fino a qualche anno fa era impensabile, intorno alla memoria del giovane sindacalista e al significato della sua morte. Ai più giovani, chi era Rizzotto lo hanno raccontato. Non lo ha conosciuto neanche il nipote, che porta lo stesso nome dello zio, il quale ha chiesto giustizia per tutti i 55 sindacalisti uccisi dalla mafia.
Era il 10 marzo del 1948 quando Rizzotto fu picchiato a sangue e buttato nella foiba di Rocca Busambra (i resti verranno riconosciuti solo lo scorso marzo) su ordine di Luciano Liggio che, con quell'assassinio, cominciò la sua scalata alla mafia di Corleone, guidata dal medico Michele Navarra che, poco tempo dopo, uccise con un'iniezione letale un bimbo di appena 12 anni, unico testimone di quell'efferato omicidio. Fu un giovane Carlo Alberto Dalla Chiesa ad arrestare i responsabili che, dopo aver ammesso il delitto e fatto il nome di Liggio, che si era reso latitante, furono assolti per insufficienza di prove.
di Rosamaria Gunnella