Lacrime di coccodrillo su Falcone e Borsellino

mercoledì 23 maggio 2012


Ninni Cassarà ed Emanuele Basile; Rocco Chinnici e Giacomo Ciaccio Montalto; Gaetano Costa e Carlo Alberto Dalla Chiesa; Boris Giuliano e Pio La Torre; Rosario Livatino, Beppe Montana, Cesare Terranova… sono tante le vittime della mafia, gli eroi di questa lotta, impossibile ricordarli tutti: magistrati, carabinieri, politici; e Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, uccisi vent'anni fa, uno pochi giorni dopo l'altro.

Ricordare quello che è stato, è accaduto, è importante. Oggi tutti piangono Falcone e Borsellino; il giornalista Luca Rossi nel suo libro I disarmati raccoglie un amaro sfogo di Falcone: «…Il fatto è che il sedere di Falcone ha fatto comodo a tutti. Anche a quelli che volevano cavalcare la lotta antimafia. Per me, invece, meno si parla, meglio è. Ne ho i coglioni pieni di gente che giostra con il mio culo. La molla che comprime, la differenza: lo dicono loro, non io. Non siamo un'epopea, dei super uomini, e altri lo sono meno di me. Sciascia aveva perfettamente ragione: non mi riferisco agli esempi che faceva in concreto, ma più generale. Questi personaggi prima si lamentano perché ho fatto carriera; poi se mi presento al posto di procuratore cominciano a vedere chissà quali manovre. Gente che occupa i quattro quinti del suo tempo a discutere in corridoio. Se lavorassero sarebbe molto meglio. Nel momento in cui non t'impegni, hai il tempo di criticare: guarda che cazzate fa quello, guarda quello che è passato al Pci, e via dicendo. Basta, questo non è serio. Lo so di essere estremamente impopolare, ma la verità è questa…».    

Tommaso Buscetta, quando decide di pentirsi e raccontare le sue verità, a Falcone dice: «Dottore, l'avverto: cercheranno di distruggerla, fisicamente e professionalmente. Il conto che apre con Cosa Nostra non si chiuderà mai».

Cosa Nostra, paziente, aspetta. Aspetta e uccide: fa il vuoto attorno a Falcone. Cade Beppe Montana, capo della sezione latitanti; cade Ninni Cassarà vice-dirigente della squadra mobile… Per paura di nuovi attentati Falcone, Paolo Borsellino e le famiglie vengono trasferiti all'Asinara; lì come carcerati, unico svago qualche bagno di sole, concludono l'istruttoria del maxiprocesso. Alla fine lo Stato presenta il conto: 415mila 800 lire a testa per il pernottamento, 12.600 lire al giorno. 

Il maxiprocesso si conclude con 360 condanne. Quando il capo dell'Ufficio istruzione di Palermo Antonino Caponnetto considera finita la sua missione e va in pensione, sembra naturale che al suo posto sia nominato Falcone. Ma la maggioranza del Csm fa valere il criterio dell'anzianità e non della competenza, e nomina Antonino Meli, magistrato con scarsissima esperienza di mafia. A favore di Meli e contro Falcone, votano anche due dei tre componenti del Csm eletti nelle liste di Magistratura Democratica. Meli, appena insediato, smantella il pool, teorizza che tutti si devono occupare di tutto. Così Falcone si deve occupare di indagini su scippi, borseggi, assegni a vuoto. Borsellino, l'amico fraterno, si ribella, rilascia interviste nel corso delle quali lancia accuse di fuoco. Finisce a sua volta sul banco degli accusati, costretto a doversi difendere al Csm.

Falcone è sempre più solo. Si candida ad Alto Commissario per la lotta antimafia, viene bocciato. Si candida al Csm, i suoi stessi colleghi lo bocciano. Il culmine, quando Leoluca Orlando, e altri leader della Rete, lo accusano di tenere nei cassetti la verità sui delitti eccellenti. E' costretto a una umiliante difesa al Csm. Alla fine accetta la proposta del ministro della Giustizia, Claudio Martelli di dirigere gli Affari penali a Roma. Lo accusano di diserzione. 

Infine la procura nazionale antimafia: nasce da un'idea dello stesso Falcone, un organismo con il compito di coordinare le inchieste contro Cosa Nostra. Lui è il naturale candidato, il Csm lo boccia ancora una volta. Gli viene preferito Agostino Cordova, procuratore capo di Palmi, uno di quei magistrati che aveva firmato un documento, assieme ad altri decine di colleghi, in cui si individuava come un pericolo per l'operato e l'indipendenza dei magistrati. Alessandro Pizzorusso, componente "laico" del Csm designato dall'allora Pci, firma sull'Unità un articolo che grida vendetta: in pratica si dice che Falcone non è affidabile, sarebbe "governativo", avrebbe perso le sue caratteristiche di indipendenza. 

Quando, il 23 maggio viene ucciso, anche Borsellino, l'amico di sempre capisce che anche per lui il tempo è scaduto. Il 13 luglio rivela: «So che è arrivato il tritolo per me». A due colleghi magistrati confida, in lacrime: «Non posso credere che un amico mi abbia potuto tradire». Il 19 luglio, due minuti prima delle 17 un'autobomba lo uccide a via D'Amelio assieme ai cinque uomini della scorta. Andava a trovare la madre.


di Valter Vecellio