sabato 19 maggio 2012
Uscire dall'euro. Ad Atene la vedono sempre più come unica via d'uscita dalla crisi. Nell'Eurogruppo ci si divide tra la Germania che di fronte all'ipotesi fa spallucce e Bruxelles che tenta di salvare il salvabile. L'altro ieri un rapporto di Fitch paventava guai seri per le aziende spagnole, portoghesi e italiane in caso di una fuoriuscita della Grecia dalla moneta unica. Anche in Italia cresce la tribù di chi sogna un ritorno alla lira. Ma si può davvero abbandonare l'euro? Forse sì, forse no. Ma non sta scritto da nessuna parte.
«I trattati europei prevedono che gli Stati membri possano uscire dall'Unione, ma non specificano nulla in merito alla possibilità che un paese Ue abbandoni la moneta unica». A dirlo è l'eurodeputato leghista Claudio Morganti, che si è messo a spulciare lo statuto di adesione all'euro senza trovare nemmeno un articolo, un comma, un paragrafo o una mezza citazione che spieghi come avviare la procedura di uscita. C'è scritto come si entra nell'euro, quali sono i parametri da rispettare e gli obiettivi da raggiungere. Ma come se ne esce? Mistero.
Per questo l'europarlamentare del Carroccio ha presentato un'interrogazione rivolta all'esecutivo Ue per domandare a questo «se non ritenga opportuno modificare i trattati, inserendovi la modalità di uscita dall'Eurozona per un Paese membro». A suscitare la curiosità di Morganti è stata la notizia che la Bei, la Banca europea per gli investimenti, avrebbe inserito una clausola di salvaguardia per i suoi finanziamenti in Grecia, al fine di tutelarsi nel caso Atene si fosse decisa davvero a ritornare alla vecchia dracma. «Nonostante la Bei e la Commissione europea si siano precipitati a smentire questa notizia - spiega il parlamentare europeo - credo che una tale misura cautelativa, valida anche per altri Stati in crisi, quali l'Irlanda e il Portogallo, sia indice di come l'abbandono dell'euro venga contemplato anche da coloro che, nelle sedi istituzionali, tentano di ammaliarci con false rassicurazioni, dietro alle quali si cela, in realtà, un'evidente paura collettiva».
Giurisprudenza vorrebbe che, in caso di fumosità delle disposizioni contrattuali, l'interpretazione corretta sia quella più favorevole al contraente. Ma questo non sembra valere per l'adesione all'euro. A cominciare dai dettagli più squisitamente "tecnici". Dal momento che non esiste nessun tipo di codificazione di questa procedura, l'unica via percorribile è infatti quella della procedura di revisione semplificata dei trattati di adesione. Questa, però, richiede l'unanimità da parte di tutti gli stati membri. Ma non basta. Dal punto di vista delle ricadute economiche, come spiegava molto dettagliatamente Marco Seminerio, autore del blog Phastidio.it, «ipotizzare l'uscita di un solo paese sarebbe troppo pericoloso, perché scatenerebbe un effetto contagio che travolgerebbe tutti gli anelli deboli della catena». Ovvero, come ventilato anche da Fitch, Spagna, Portogallo e Italia in primis.
«Servirebbe dunque, contestualmente a blocco delle banche e controlli valutari alle frontiere, anche l'introduzione di una nuova moneta unica, destinata ai paesi del "blocco del marco", per neutralizzare gli spalloni che riuscissero comunque a valicare la frontiera e a tentare di raggiungere Monaco con bauli di euro» scrive Seminerio. «Semplificando brutalmente - prosegue l'autorevole blogger economico italiano -, una nuova valuta servirebbe "per distinguere il contante tedesco da quello greco". Dopo aver introdotto le nuove banconote, occorrerebbe poi modificare tutti i distributori automatici. Chi ricorda il tempo richiesto per queste operazioni nella transizione all'euro sa perfettamente che l'operazione inversa, che avverrebbe in modo caotico e panicato, provocherebbe un collasso dell'attività economica». «Poi ci sarebbero gli effetti distributivi della conversione - riporta Phastidio.it - che coinvolgerebbero privati e (soprattutto) aziende, molte delle quali sarebbero dissestate dal nuovo sistema valutario. Le multinazionali tendono ad avere una sussidiaria di tesoreria, che gestisce l'indebitamento in modo centralizzato. Spesso la giurisdizione delle passività è quella olandese, e l'Olanda finirebbe nel gruppo dell'euro-marco. Ciò vorrebbe dire un enorme aumento dell'onere del debito per le imprese coinvolte. Servirebbero quindi degli imponenti salvataggi: il sistema, lasciato a se stesso, finirebbe travolto dalla illiquidità e da dispute legali sulla giurisdizione nazionale di attività e passività». Che sia opportuno o meno, dunque, è chiaro come il sole che uscire dall'euro non è una cosa semplice. Colpa di chi, all'epoca della creazione della moneta unica europea, omise (per dimenticanza?) di contemplare una procedura di uscita. Colpa che si somma a quella di una contrattazione raffazzonata dei parametri di adesione all'euro per le economie dei vari paesi, corresponsabile dell'attuale situazione di difficoltà degli "anelli deboli".
Sul fatto dell'opportunità di un'uscita dall'euro per i greci, però, Claudio Morganti è categorico: avrebbero solo da guadagnarci. «La Grecia è a un bivio, deve solo decidere se rimanere schiava di Bruxelles o riconquistare la propria sovranità nazionale» dice. «L'Ue, e in particolare la Germania, farà di tutto per tenere la Grecia nell'euro, ma solo per i propri interessi di mercato. Se la Grecia uscisse dall'euro, infatti, i tedeschi a chi venderebbero Mercedes, Volkswagen e Bmv, che a quel punto costerebbero il 40% in più rispetto ad oggi?».
di Luca Pautasso