venerdì 11 maggio 2012
Sì, il PdL dipende da Silvio Berlusconi. Se invece qualcuno si
aspetta che dipenda dal "Cav", chiuso. Che vuol dire? Vuol dire che
Silvio Berlusconi anche in politica entrò da Imprenditore, e che da
"Cav" avviò la parodia della politica, la parodia di Forza Italia,
la parodia di se stesso. Tra il '93 e il '94, Berlusconi si fidò di
una persona fedele, seria, capace. Si fidò di alcune altre,
pochissime, persone serie, capaci, ambiziose. Si mostrò agli
Italiani come imprenditore. Come costruttore. Ma imprenditore di
idee e creatore di mercati, non non incameratore di utili e
socializzatore di perdite: insomma, il contrario della Statua
Agnelli.
Gli italiani avevano un assatanato bisogno di credere in qualcosa
e tifarono calcisticamente per la sua mitologica "discesa in
campo". Fino al punto che Silvio Berlusconi, con un Forza Italia
che era nient'altro che una "extension-line" di Publitalia, si
presentò alle elezioni e conquistò la maggioranza, entrò in
Parlamento e direttamente al governo. Da quel momento Berlusconi,
che fino a quel giorno aveva coltivato un solo rischioso ma
innocente "delirio", quello di essere amato da tutti, fu
soprannominato "il Cav" e - come un comune istrione teatrale -
aderì a quel soprannome.
Diventò il "Cavaliere", partecipò al primo dileggio della sua
persona e ne divenne co-autore, passando al delirio smodato e non
innocente di essere il re Mida, cioè colui che trasforma in
successo qualsiasi cosa intraprenda. Perché? Perché è più bravo di
tutti, no? Si autonominò il migliore, il migliore capo di governo,
il miglior amico dei leader mondiali, e, ovviamente, il più
straordinario mandrillo della Storia d'Italia. Nel frattempo, la
feccia si era impossessata delle stanze intorno, dei corridoi, dei
posti di comando, dei ruoli, degli scendiletto.
Oggi Silvio Berlusconi sa. Non è ancora arrivato a mettere a
frutto il "sapere", ma sa. Continua a mandare avvisi che hanno il
senso e il tono di una autentica inquietudine. Di una possibile
riconversione da Cav a Silvio? Sono in tantissimi a sperare che
l'uomo di Arcore non abbia del tutto scordato come si fa a
trasformare il sapere in saper-fare. Basterebbe perforare le fumose
e sbandate cortine dei plauditores ignoranti e arroganti, e farsi
ascoltare, per ricordargli chi è stato e chi ha il dovere di
tornare ad essere. Non più nel senso del tycoon, ma sulla via,
sulle piazze, nei paesaggi sventrati dell'Italia che non aspetta
più un futuro televisivo, ma che tuttavia aspetta di... amare
qualcuno che si prenda cura di lei. Un grande imprenditore della
solidarietà, della rinascita, del "facciamolo insieme".
di Girolamo Melis