sabato 28 aprile 2012
La storia delle trattative, vere o presunte, tra mafia e stato, torna sempre di moda quando è in ballo la cattura di pericolosi latitanti. È quasi una "maledizione" che ora si riaffaccia anche per il caso di Bernardo Provenzano.
Nei giorni scorsi su un blog molto informato del "Sole 24 ore" e
ieri sull'ultimo numero di "Left", sono stati pubblicati stralci di
un inquietante interrogatorio del 17 giugno 2011. Condotto da
Giuseppe Pignatone, oggi procuratore capo a Roma e all'epoca
analoga carica a Reggio Calabria, e dal suo sostituto Beatrice
Ronchi. I due sentono un altro magistrato calabrese, Alberto
Cisterna, indiziato di reato sulle parole di un pentito di
'ndrangheta, nella sede della Direzione nazionale antimafia a Roma,
organismo di cui Cisterna era uno dei due vicari di Piero
Grasso.
Quello stesso giorno il "Corriere" pubblicava la notizia
dell'iscrizione nel registro indagati di Cisterna dopo le
dichiarazioni del pentito Nino Lo Giudice, che lo accusava di
corruzione in atti giudiziari per avere fatto mettere il fratello
Maurizio agli arresti domiciliari in cambio di denaro. Da una
risposta di Cisterna a Pignatone viene fuori che lo stesso
magistrato sotto inchiesta si era occupato in passato di gestire
una delicata questione che nel virgolettato pubblicato da "Left"
viene definita «attività inerente la cattura di Provenzano».
Di cosa si trattasse lo spiegherà poi il 14 dicembre 2011 Piero Grasso davanti al Csm: «Quando nell'ottobre del 2005 presi il posto del procuratore Vigna, mi fu prospettata da parte dei colleghi la situazione di un informatore che voleva rendere delle dichiarazioni e collaborare con la cattura di Provenzano». Grasso spiega al Csm di essere stato lui a gestire il colloquio investigativo con questo misterioso personaggio, un commercialista che avrebbe anche chiesto 2 milioni di euro per il disturbo. Personaggio ritenuto poi non credibile. Provenzano viene di fatto catturato nel marzo 2006 proprio dagli uomini di Pignatone, all'epoca sostituto a Palermo. Da quel momento tutto si fa confuso, la vicenda viene messa in un cassetto finché, recentemente, non se ne è occupata anche la Commissione antimafia.
Un fatto è certo: come avere catturato Totò Riina si è rivelato un boomerang per gli autori dell'impresa (il generale dei Ros Mario Mori e il capitano Sergio Di Caprio soprannominato "Ultimo") per via della storia della presunta trattativa e del "papello" del figlio di Ciancimino, anche la cattura di Provenzano potrebbe oggi seguire lo stesso destino. Anzi, maledizione.
di Dimitri Buffa