martedì 24 aprile 2012
Sei maggio, si vota. La chiamata elettorale zittirà molti dei boatos allarmistici ed allarmanti. Poco importa se l'apocalisse annunciata sarà smentita per l'ennesima volta: assorbito il risultato, sarà ineluttabilmente riproposta subito dopo. Si prenda il mito della scheda bianca. Il timore dell'astensionismo, questa minaccia agitata a mo' di clava costituisce da decenni l'annunciata rivolta dell'elettore qualunque contro l'asfissiante regime partitocratico, con contorno di movimenti nuovi e masanielli vari. L'elenco è lungo, dal Giannini della notte dei tempi ai Panella e Faccio quand'erano giovani, dai Bossi e Leoni della Lega dei primordi ai Segni tutti d'un pezzo. E poi la rete, il movimento dei sindaci, il melone, le pantere, i valori togati e miriadi di Manifesti Continui.
Una volta sola, togati, mediators & traders si fidarono degli elettori, fiduciosi che di fronte a tante prove di disordine e corruzione dei partiti dominanti, li avrebbero distrutti nell'urna. Era il '92, fioccavano notizie da Mani Pulite, ma gli italiani, pur scandalizzati, votarono ancora il quasi trentennale governo delle coalizioni di centrosinistra. Di più, diedero più voti ai socialdemocratici extended version che agli onesti gappisti e piccisti. Da allora, nella sincerità dell'anima, nessuno crede alle indignazioni d'urna. Ora a impersonare l'Attila che dove passa, non cresce più la politica, arriva Grillo. Non è proprio una novità il comico parlante. Non lo è in politica, dove ci prova già da qualche legislatura. E non lo è nemmeno da homo publicus. Al pari di Fo e Gaber, ha esercitato per un ventennio nella tv generalista fino alla folgorazione sulla via di Damasco. Grillo e Benigni spararono in tempi utili contro Craxi in diretta tv. Poi colsero ogni occasione utile per proseguire contro Berlusconi. Grato, il paese non mancherà mai di dare loro spazio, enfasi, gloria, risolini sforzati e dovuti.
Il 6 e 7 maggio però si vota nell'annuale rito democratico; si vota in 800 piccoli Comuni (sotto i 15000 abitanti e sotto i diecimila in Sicilia), in 148 grandi Comuni, in 25 capoluoghi provinciali ed in tre regionali. Si vota al nord a Genova, al centro a L'Aquila e al sud a Palermo. E gli italiani voteranno, con il solito naso tappato, il solito latte alle ginocchia, la solita mano sugli occhi. È una vita che lo fanno o che minacciano di non farlo per poi rivelarsi tra i popoli più pronti alla conta elettorale. Voteranno perché comunque gli amici sono amici, i compagni sono compagni, per fare muro ai barbari, per sognarsi barbari che scalano i muri, per dispetto comunque ai nemici o per fare danno agli amici; voteranno perché i 400mila politici eletti, sono parte di loro stessi, nel bene e nel male.
Il Pdl, in campagna elettorale, lamenta il destino cinico e baro che lo costringe obtorto collo a sostenere Monti per le minacce europee: I suoi elettori lo voteranno convinti di votare contro Monti. Il Pd, in campagna elettorale, si lamenterà di Berlusconi ed il suo elettorato, schifato, lo voterà perché non torni Berlusconi. L'Udc e i suoi nuovi insperati alleati, post-fascisti, post-socialisti, post-radicali, si vantano d'essere il vero sostegno del governo europeo, del governo del presidente.
Tutti i voti persi per questo scomodo ma prestigioso ruolo, saranno recuperati con le schede sudiste convinte di votare contro i nordisti al governo di ieri e di oggi. La Lega che avrebbe potuto cogliere l'occasione di fare il pieno come nel '96, come unico partito d'opposizione, pareggerà sotto una campagna mediatico-giudiziaria che si scioglierà da sé dopo il voto.
Molti, ovviamente, abbandoneranno i partiti maggiori per cadere però in quelli minori che nel sistema dei vasi comunicanti della politica, li riconsegneranno al mittente. Dal Pd a Sel o Idv; da Sel a comunisti vari, da Idv al grande centro e Grillo; da Pdl a La Destra, Idv, grande centro, Lega; dal grande centro all'Mpa, al Pdl, all'Idv; dalla Lega a La Destra, Idv, grande centro, Grillo. Tanti, tanti voti non mancheranno ai pensionati, grandi Sud, ed alle tante liste civiche, territoriali, personali, di cui quella del sindaco veronese Tosi è forse la più importante.
In Grecia, invece, il voto politico del 6 maggio è a rischio. Ad Atene e dintorni nessuno si vuole candidare perché l'Europa ha stracciato anche l'ultimo velo della democrazia, dopo che il direttorio europeo ha sconfessato l'ultimo governo eletto ed il suo tentativo di indire un referendum popolare sul piano di rientro finanziario. Pasok e Nea Dimokratia che ottennero nel 2009 l'80% dei voti, ora insieme sono al 32,4%. Risultato che smentisce le veline di Bruxelles ed i sondaggi sul 76% dei greci fautori dell'euro. Se non hanno alternativa all'affittare i poliziotti come gladiatori, al vendersi isole e coste, al fare la fame per anni, i greci pensano: perché votare? La politica infatti, nell'accezione mediterranea, è quella cosa che mette una toppa ai difetti strutturali della società. Potessero decidere del restare o meno nell'euro, le elezioni greche avrebbero altro sapore ed altro entusiasmo; ma questa opzione non è una scelta democraticamente percorribile. Se fosse andata in porto la riforma federalista fiscale, come la teorizzava Sacconi, ci sarebbe stata un'analoga reazione nel nostro Sud. Se gli enti locali fossero stati tutti commissariati, in caso di cattiva gestione, senza che i deputati territoriali potessero intervenire e i fondi fossero stati elargiti col contagocce da parte dei territori più ricchi, perché andare a votare eletti privi di potere? Per queste ragioni Bruxelles spera in urne piene e la stampa seria ed affidabile evita di rappresentare i rischi di un'apocalisse democratica che invece sono tutti presenti. L'Europa, dopo aver combinato un disastro con la Turchia, ricacciata a leader sassanide del mondo islamico, sembra desiderarne un altro: un percorso anti-Venizelos che spinga i greci verso i turchi e ricrei un'anti-Europa alessandrina sudorientale. A ribadire il concetto, il voto del 6 maggio serbo, presidenziale, politico ed amministrativo, al quale non potranno partecipare i serbi del nord Kossovo per il veto di Bruxelles e del giovane stato paralbanese. L'ennesima umiliazione inflitta a Belgrado, senza uno straccio di rispetto per le autonomie locali, sarà accettata dopo venti anni di bagnomaria finanziario precipitato sul cripto stato canaglia balcanico e contribuirà alla destabilizzazione di un quarto d'Europa. Il caso italiano è, oggi, molto diverso. La tornata elettorale passerà nella giusta indignazione per il fallimento del governo e dei partiti che lo sostengono. I loro difetti però non li faranno rimuovere e rifiutare e nemmeno, perché i loro elettori non ne hanno di meno.
di Giuseppe Mele