Ma che se ne fa Beppe Grillo del 7%?

sabato 21 aprile 2012


Come si fa a fare politica senza un partito? Meglio ancora: come si fa a fare politica senza la politica? Un mistero. Ma qualcuno prima o poi dovrà tentare di dare risposta a questo bizzarro arcano. Se non altro per spiegare agli italiani che cosa pensa di fare Beppe Grillo dopo che le prossime elezioni  nazionali lo avranno consacrato, con tutta probabilità, il vero "homo novus" del parlamento.

Gli ultimi sondaggi danno il Movimento 5 stelle addirittura tra il 7 e il 7,5%. Percentuali che, se si votasse oggi, sarebbero in grado di fare del M5S il terzo partito italiano. Molto avanti all'Udc. Subito dopo Pd e Pdl, nessuno dei due in grado nemmeno di sfiorare il 30%, e con una Lega Nord scivolata al quarto posto dopo l'inevitabile calo di consensi per lo tsunami di scandali che hanno travolto il Carroccio.

Ed è stata subito Grillo-mania. Molto più di quanto non lo fosse stato al tempo del "Vaffa-day", e ancora di più dei piccoli grandi trionfi che i seguaci del comico erano riusciti a portare a casa con le ultime amministrative e regionali. Ma i media che oggi sgomitano e fanno a gara per accaparrarsi un brandello della tunica del Testimone di Genova, hanno la memoria corta. Dimenticano un nome importante: Valentino Tavolazzi. E chi è? Soltanto un militante ferrarese della vecchia guardia dell'M5S che nelle scorse settimane aveva provato a dare "un corpo" oltre che un'anima alla creatura movimentista di Grillo. Con una convention, voleva interrogarsi e interrogare gli altri militanti, Beppone nazionale compreso, su come organizzare il movimento e le sue campagne, su come scegliere il leader, e così via. Cose normali in qualsiasi partito. Ma non per uno a Cinque Stelle. Apriti cielo: ecco l'epurazione immediata del Tavolazzi, per mano dello stesso Grillo, che accusava il ferrarese di avere «frainteso lo spirito del movimento».

Allora la domanda è questa, ed è la stessa che si poneva ieri il giornalista Antonio Polito: che senso ha avere il 7% dei voti se poi non si sa che farsene? Già. Persino Di Pietro ha dovuto fare il serioso ministro delle Infrastrutture e dire sì al Tav. De Magistris, addirittura, ha dovuto mandare a stendere i centri sociali e fare i conti per davvero con 'a munnezza, che di colpo non era più soltanto un tema da comizio in piazza del Plebiscito ma un problema serio.

Cosa pensa di fare a Montecitorio uno abituato a sbraitare monologhi senza contraddittorio davanti a gente che crede nelle scie chimiche e nel complotto dei rettiliani come fossero il Vangelo? Come vota qualcuno abituato a cavalcare il malcontento popolare blandendo un giorno i giustizialisti con riedizioni delle purghe staliniane, e un altro i liberali con l'apologia di chi evade le tasse per non ingrassare uno stato di ladri? Come pensa di conciliare l'aspirazione a diventare il terzo partito politico italiano con l'idiosincrasia per qualunque cosa cominci anche solo ad assomigliare a un partito politico? Mandare tutti quanti "affan…", stavolta, potrebbe non bastare più.


di Luca Pautasso