Lidia Ravera, una lombrosiana al Fatto

giovedì 19 aprile 2012


Lei, Lidia Ravera, è la giornalista perfetta per Il Fatto Quotidiano. Alcune conferme tratte dal sito del quotidiano delle Procure.

2 dicembre 2012. Ravera (e non Rivera che almeno era un campione e sapeva fare con classe il proprio mestiere) scrive di Franco Nicoli Cristiani: «Un "cinghialone" imbottito di colazioni di lavoro e mazzette. Uno che sonnecchia nello svolgimento delle sue stipendiatissime mansioni, ma si sveglia quando deve difendere la Principessa Minetti dall'assalto dei reprobi, i mai abbastanza esecrati giornalisti. Uno che, come troppi, pur condannato (e prescritto) viene abilitato a proseguire la sua carriera, nel solco dell'indiscusso leader del degrado della politica. È legittimo sperare che si faccia un po' di pulizia? Stanare tutti i parassiti che vendono la cosa pubblica come se fosse roba loro, si gonfiano di stecche fino a passare il tonnellaggio di una portaerei e continuano a trafficare, nelle pieghe delle istituzioni, dove nessuno guarda e perciò nessuno vede, è possibile oppure no? Con che faccia si chiede ai cittadini di fare sacrifici quando questi ciccioni si ostinano a ingrassare a spese della collettività? La guardo, dottor Nicoli Cristiani, la giacca sbottonata, l'occhio metallizzato, il cipiglio da incazzato e, mi coglie, irresistibile, l'impulso di prenderla a sberle. Vendicherei i giornalisti minacciati. E non solo loro»

E passiamo all'11 marzo scorso quando la signora scrive del senatore Luigi Lusi: «Basta guardarlo in faccia per riconoscere l'eroe dei nostri tempi: occhi torvi e furbi su un fisico bovino. Empatia zero. Bulimia mille. Spiccata propensione alla minaccia. Incapacità patologica a riconoscere i propri torti. "Se parlo io salta il centrosinistra", ha detto, fingendo di non sapere che lo stavamo tutti ascoltando. Parli senza remore, senatore Lusi: se nel centrosinistra è cresciuto un personaggio come Lei, che salti pure per aria, che vada in pezzi, in briciole, in vacca… Non verseremo una lacrima».

Lo scorso 6 aprile, poi, la Ravera si diletta ad esaminare l'aspetto fisico di Francesco Belsito: «Basso, grasso, tondo. Due ombre nere al posto della barba e dei capelli. Una bella faccia da posteggiatore napoletano, di quelli che per 50 centesimi ti storpiano "O sole mio", avvilita da piccoli occhi furbi, imperturbabili fino alla tracotanza. È Francesco Belsito, genovese, qualunquemente brutto nonostante l'età (41 anni) e la disponibilità economica (ha tre Porsche e neppure una giacca decente). Nasce autista di Guido Biondi, dopo essere stato un ottimo buttafuori da discoteca, un non meglio identificato "animatore" e un solerte spacciatore di focaccine. La sua ascesa verso i paradisi artificiali della politica inizia con il sottosegretariato dei diversamente intelligenti (la Semplificazione) e si conclude con la carica più ambita dai diversamente onesti (tesoriere). Evidentemente le focaccine erano buone. Ma è sufficiente? Sì. La dote più spiccata del politico moderno è la disponibilità a tutto. Portare borse, fondi, sesso, consensi e voti. Per diventare tesoriere è richiesta, per curriculum, anche una particolare passione: utilizzare a scopi privati soldi pubblici. Dopo la doppietta Lusi-Belsito chi sarà beccato? Non si potrebbe, nell'attesa, ridurre i finanziamenti ai partiti? Sono soldi nostri, in fondo!».

Pur non sapendo chi scrive chi mai sia Guido Biondi (i primi risultati di Google parlano di un calciatore lancianese deceduto e di un ex ristoratore che ha collaborato con Tutto…), bisogna ammettere che la signora Ravera ha ragione, perché è proprio giunta l'ora di dire basta a tutti quei parassiti (e per di più con l'aggravante di avere occhi torvi e furbi su un fisico bovino, magari anche con la giacca sbottonata) che vendono la cosa pubblica come se fosse roba loro. Ed è anche plausibile un quesito tipo "dopo la doppietta Lusi-Belsito chi sarà beccato". Il problema è che dopo "la doppietta" della quale ha scritto la Ravera, una delle tante inchieste hanno riguardato anche il governatore della Regione Puglia, Nichi Vendola, al quale sono stati recapitati in 24 ore due avvisi di garanzia.

Ma niente paura, anche per lui - pur nulla eccependo sull'aspetto fisico, ma questo è questione di gusti - Lidia Ravera ha le parole giuste: «Nichi Vendola è uno per bene» e i testimoni le cui dichiarazioni sembrerebbero invece coinvolgere nel malaffare della sanità pugliese anche il leader di Sel, sono state deposte per la Ravera da «mele marce in servizio attivo, pronte ad infettare quelli che provano a contrastarle. Vogliamo raccogliere come oro colato tutte le loro vendette?». Per quel che ci riguarda, anche Vendola è innocente fino a prova contraria e a sentenza definitiva, ma ci si permette di evidenziare che la storia d'Italia è stata (e lo è tutt'ora) contrassegnata dalle dichiarazioni di soggetti che poi, nei fatti, sono riusciti a rovinare vite, carriere (politiche e non) e famiglie. Ci sono stati fedeli servitori dello stato condannati dopo i "pentimenti" di pluripregiudicati che non avevano nulla da perdere (anzi, tutto da guadagnare) e dalle loro testimonianze spesso ad arte pilotate; così come ci sono stati uomini politici processati e condannati sulla stampa (soprattutto quella amica di certe procure) ed invece poi assolti nell'ordinario processo. Ci sono stati anche amministratori dei quali si è saputo - magari anche prima del recapito all'interessato dell'avviso di garanzia - di un'indagine in corso a loro carico e messi subito con le spalle al muro (e talvolta costretti alle dimissioni) da certa opinione pubblica ben ispirata, organizzata, fiancheggiata, manettara ed alla famelica ricerca dell'avversario da sputtanare, mettere alla gogna e rovinare definitivamente. Evidentemente per la Ravera - e per quelli a lei simili - esistono gli innocenti "a prescindere" così come i colpevoli "comunque": si potrebbe definire "giustizia di parte", ma poi (in questo caso) viene spontaneo chiedere scusa per l'utilizzo del termine "giustizia'".


di Gianluca Perricone