Il fisco fa più vittime che l'Afghanistan

mercoledì 18 aprile 2012


Prima le tasse, quelle che lo stato canaglia continua a chiedere ancora, e ancora, e ancora, sempre di più e sempre più alte. Poi la burocrazia e i cavilli, che rubano tempo e soldi a chi vorrebbe solo lavorare in pace. Poi quei crediti milionari con lo stato mai riscossi, perché lo stesso vorace Leviatano che batte cassa per ingrassare il Fisco non è mai altrettanto fiscale quando si tratta di pagare i suoi debiti, quelli contratti con le migliaia di piccole e medie imprese che hanno lavorato per lui. Poi ancora le banche, quelle che ricevono dalla Bce infornate da miliardi di euro a tassi dell'1% e poi rifiutano al piccolo imprenditore un prestito di poche migliaia. O, quando raramente lo concedono, sono capaci di chiedere un ricarico del 6% annuo. Poi la vergogna di non poter pagare gli stipendi ai propri dipendenti, perché l'azienda va bene, lavora, ha tanti clienti e altrettante commesse, ma tutti pagano in ritardo e solo le cartelle esattoriali arrivano con sadica puntualità. E poi la disperazione di dover assistere impotenti alla distruzione di quello che si è costruito durante tutta una vita di duro e onesto lavoro: la fabbrica che chiude, i figli da sfamare, vestire e mandare a scuola, e tanti operai lasciati a casa, anche loro come figli, anche loro con i figli da sfamare, vestire e mandare a scuola. È troppo per chiunque. Anche per chi ha sempre saputo fin dall'inizio di dover convivere quotidianamente con il rischio, ma ha accettato di farlo con il coraggio di chi sa di star perseguendo un obiettivo grande e importante, per sé e per gli altri. Non per niente si chiama "impresa".

Così muoiono gli imprenditori italiani. Ne muore uno ogni quattro giorni. Si tolgono la vita, ma dietro ciascuno di quelli che la cronaca chiama "suicidi" c'è un preciso mandante, che è sempre lo stesso. Un mandante che non premedita e non agisce. Semplicemente, ignora e fa spallucce. L'ultima sua vittima si chiama Roberto Piccinetti. Aveva 62 anni, e gestiva un agriturismo a Fano. È il ventiquattresimo imprenditore suicida del 2012. Ci ha pensato la Cgia di Mestre a stilare il bollettino funebre che attribuisce al Veneto il triste primato di ben nove imprenditori che si sono tolti la vita dall'inizio dell'anno, il 37% del totale. Seguono Puglia, Toscana e Sicilia con tre, e il Lazio con due. Ma nella "locomotiva economica del nord est" sono stati oltre 50 gli imprenditori che negli ultimi tre anni hanno scelto di farla finita per colpa della crisi. Praticamente il bilancio di una guerra. E gli assomiglia davvero molto, se si considera che è lo stesso numero dei caduti italiani in Afghanistan dall'inizio della missione Nato a Kabul e Herat. Per ritrovare numeri peggiori di questi, bisogna scomodare le vittime della strada. Anche qui si muore strada facendo, ma non perché si corre troppo veloci: perché la benzina e la voglia di andare avanti sono finite.

Alcune tra le vittime, con il loro gesto estremo, riescono a guadagnare le prime pagine dei giornali, come l'imprenditore bolognese che si è tolto la vita dandosi fuoco davanti alla sede dell'Agenzia delle Entrate. Altri, come il suo emulo che qualche giorno fa si è suicidato allo stesso modo a Bolzano, non fanno nemmeno più notizia, e diventano soltanto un altro numero per le statistiche. E poi ci sono i tentati suicidi, quelli che fortunatamente sopravvivono ma ingrossano ugualmente a decine il tragico bilancio della disperazione. 

Qualcuno prova a reagire, come può. Come la neonata associazione "Speranzaallavoro", voluta dai familiari delle vittime insieme al sindacato Filca Cisl è all'associazione di consumatori Adiconsum. «Per rompere il silenzio e la solitudine in cui sono immersi tanti lavoratori, consumatori, piccoli imprenditori e le loro famiglie a causa della pressione fiscale e della crisi economica», come recita il manifesto dell'associazione. Chiamano i suicidi "omicidi bianchi", proprio come le morti sul lavoro. Anche loro in fondo sono vittime del lavoro. Di un lavoro che hanno creato, costruito e difeso con le unghie e con i denti, e si sono visti strappare dalla crisi economica, da uno stato cieco e sordo, da una fiscalità vampiresca al limite del latrocinio, e da un sistema bancario così avido da somigliare all'usura. 

La Regione Veneto ha approvato ieri un fondo di emergenza per aiutare gli imprenditori in crisi. E lo stato che fa? Scatena la caccia alle streghe contro i fantomatici parassiti di stato, mentre quelli veri continuano ad ingrassare con emolumenti milionari nelle poltrone della pubblica amministrazione. E mentre con una mano impone rigore e austerità alla nazione, con l'altra divora tra sprechi e ruberie il sangue spremuto al contribuente.


di Luca Pautasso