venerdì 13 aprile 2012
Il caos che ha investito la Lega potrebbe avere effetti disastrosi per il partito di Bossi. L'unica leadership che si profila all'orizzonte, quella di Roberto Maroni, non riscuote consensi unanimi. Il già logoro rapporto con il Popolo della libertà rischia di sfaldarsi definitivamente. Ma a preoccupare gli uomini del Carroccio sono anche, se non soprattutto, le prossime elezioni amministrative di maggio: il partito ha deciso di presentarsi da solo in quasi tutte le municipalità nelle quali si presenta. Per ora i sondaggi non rivelano flessioni nelle intenzioni di voto dell'elettorato fedele al senatur. «Ma ne avrà di sicuro», sostiene Paolo Feltrin, professore all'università di Trieste ed esperto di analisi elettorali. «I sondaggi - prosegue Feltrin - utilizzano metodi complicati e si servono di piccoli campioni. Aspetti tecnici che rendono le fotografie che emergono dalle rilevazioni tendenzialmente conservative, poco pronti a cogliere nell'immediato le novità di flusso elettorale».
La Lega risentirà dunque in termini di voti dello
scandalo che l'ha investita?
«Ci saranno sicuramente ripercussioni. Per quanto
riguarda le amministrative, molto dipenderà da quel che accadrà nel
breve periodo. In particolar modo da come il gruppo dirigente
riuscirà a pilotare questa crisi. Si può sin d'ora sostenere che la
fuoriuscita di voti sarà più evidente laddove il partito manca di
uomini forti. In contesti nei quali governano personalità di peso,
qual è Flavio Tosi a Verona, i danni saranno contenuti».
Verso chi guardano gli elettori leghisti delusi?
«Si indirizzeranno in primo luogo verso il Movimento 5
stelle di Beppe Grillo».
Una scelta sorprendente.
«Non del tutto. Quello di Grillo è il partito meno
caratterizzato sull'asse ideologico destra-sinistra. Andando ad
intercettare quella fascia di elettori delle origini, ancora legati
ai temi dell'antipolitica e della rappresentanza dal basso».
Sono in molti?
«Sono uno dei problemi principali della nascente
leadership di Maroni, che ancora non ha ben capito come poter
coniugare la propria vocazione sostanzialmente moderata con le
istanze dell'ala più dura della Lega. C'è il Maroni apprezzato
ministro dell'Interno, uomo di governo. E poi c'è il Maroni che
aizza la folla durante l'ultimo comizio di Bergamo. Un modo non
convincente per tenere insieme le istanze più moderate del partito
e chi ancora si richiama al dio Po».
Vi sono altri canali preferenziali ai quali si
rivolgeranno i delusi?
«In secondo luogo si rivolgeranno ai partiti e ai
movimenti di estrema destra. Questo perché nel corso degli anni il
partito ha assunto una precisa caratterizzazione di centrodestra.
Al punto che oggi la media degli elettori della Lega si percepisce
più a destra di quelli del Pdl. Infine ci sarà chi preferirà non
partecipare al voto, alimentando il fronte dell'astensione».
Il Pdl in questa fase non esercita alcun tipo di forza
attrattiva?
«Il partito di Alfano non riesce ad attirare l'elettorato
leghista perché, ad oggi, è privo di una propria caratterizzazione
politica. Non sono chiare le prospettive che indica al paese, né
quali siano le principali aspirazioni a medio termine degli
azzurri. Qual è la soluzione politica che il Pdl offre al dopo
Monti? Ad oggi non è dato saperlo. Ma l'elettorato leghista
pretende risposte chiare».
Maroni è più rassicurante da questo punto di
vista?
«Non è scontato che dopo l'era Bossi inizi quella di
Maroni. Per definirlo, le prossime settimane saranno decisive. L'ex
ministro dell'Interno ha il problema di non essere percepito come
un elemento nuovo nel quadro politico leghista. Già nel 1979 faceva
parte del primo nucleo che si strinse attorno al senatur. Non gli
sarà affatto facile operare una rottura radicale con il passato,
perché, da quel punto di vista, può essere facilmente
attaccato».
Come sta in parte già avvenendo.
«È alta la possibilità che qualcuno voglia azzopparlo. Un
po', con le dovute differenze, come accadde nel Psi ai tempi di
Bettino Craxi. Inoltre l'altra grande questione è relativa alla
personalità del politico Maroni. Non è dato ancora sapere se avrà
lo stesso carisma di Bossi nel riuscire a controllare i conflitti
latenti nel partito».
Ad esempio?
«Quello tra veneti e lombardi, anzitutto. Ma anche la
frattura già accennata tra moderati e radicali. Senza sottovalutare
il conflitto generazionale. Ci sono una serie di quarantenni che
scalpitano per ottenere visibilità e per accelerare il
ricambio».
Alternative a Maroni?
«In questo momento non ce ne sono. La questione è quanto
il leader in pectore potrà resistere al logoramento interno».
Se fallisse?
«In questo momento è più probabile che il partito si
disgreghi che non riesca a compattarsi sotto un'unica leadership.
La strada di Maroni è estremamente in salita. Ritorniamo alla
questione degli uomini forti. Ci sono intere aree del Veneto e
della Lombardia che ne sono prive, per non parlare dell'Emilia
Romagna. In una situazione nella quale il partito ha deciso di
correre da solo, un eventuale risultato negativo potrebbe avere
effetti esplosivi».
di Pietro Salvatori