Molestata e licenziata dalla Cgil

venerdì 13 aprile 2012


Il caso di Romina Licciardi, prima emarginata dalla Cgil di Ragusa e poi licenziata senza che neanche le venisse pagato il trattamento di fine rapporto, deve servire da monito a quelle donne che, molestate con pesanti avances sul posto di lavoro, preferiscono lavare i panni sporchi in casa. Non denunciare immediatamente alla magistratura significa esporsi alle prepotenze del datore di lavoro. Romina Licciardi, ironia della sorte, per togliersela di torno dopo l'incidente sessuale, l'avevano piazzata alla commissione pari opportunità.

La storia la racconta lei stessa a L'Opinione: «Ho cominciato a lavorare alla Camera del lavoro Cgil di Ragusa nell'ottobre del 1998, a 23 anni, ma sono stata regolarmente ingaggiata dal 1 febbraio del 2000. Mi sono occupata fin da subito dello sportello lavoro della Cgil e del centro informazioni disoccupati. Dal 1 febbraio 2000 sono stata ingaggiata part-time, ma effettivamente le mie prestazioni di lavoro erano a tempo pieno, anzi super pieno, visto che l'orario di lavoro si svolgeva per l'intero periodo di apertura della camera del lavoro, e cioè dalle 9 alle 21 di sera. Nell'ottobre del 2000 sono stata oggetto di una aggressione  a sfondo sessuale sul posto di lavoro».

A "L'Opinione" la donna ha detto da parte di chi. Non possiamo scriverlo perché Romina, all'epoca, non sporse denuncia. Ecco però cosa accadde: «Nell'ottobre del 2002, in seguito al rinnovamento della segreteria della Camera del lavoro, sono stata eletta componente della segreteria provinciale e mi sono occupata di politiche del lavoro e politiche di genere e pari opportunità, ma il mio inquadramento non è variato. Nel luglio del 2004 sono stata designata Consigliera di pari opportunità per la provincia di Ragusa e collocata in aspettativa non retribuita dall'organizzazione sindacale poichè gli emolumenti mi venivano versati dalla regione siciliana da cui dipendono le consigliere di parità. Il 1 settembre del 2009 ho richiesto di rientrare sul posto di lavoro alla Cgil Ragusa. Ho quindi fatto presente al nuovo segretario che nel frattempo si era insediato che il mio inquadramento non era regolare fin dal 2002 e che pertanto andava adeguato al regolamento della Cgil. La risposta fu perentoria: "Non hai diritto a nessun nuovo inquadramento e a nessun nuovo incarico. Se ti piace è cosi, altrimenti…". La situazione si stava facendo difficile. A seguito di un violento scontro sulla questione del mio inquadramento il clima intorno a me è deteriorato: nessuno mi rivolgeva la parola, non mi veniva attribuito alcun incarico e venivo costantemente ignorata ed isolata dai colleghi».

Una costante di queste denunce di licenziati della Cgil è che si tratta di casi che avvengono quasi esclusivamente al Sud. Non solo: nei blog "settentrionali" della stessa organizzazione paladina dell'Articolo 18, ma a casa degli altri, non è raro imbattersi in commenti beceri e sessisti verso le donne prima umiliate e poi licenziate dal sistema Cgil del sud. Tra cui quello della stessa Licciardi, o quello di Simona Micieli, già raccontato qualche giorno fa da "L'Opinione". 

Racconta ancora la Licciardi: «A causa di una crisi di panico, mi colloco in malattia. Nel dicembre del 2009 mi viene fatta pervenire una lettera di dimissioni dal posto di lavoro che avrei dovuto sottoscrivere licenziandomi. Il 6 febbraio del 2010, quando ormai era chiaro che volevano licenziarmi, in una conferenza stampa denuncio pubblicamente quanto stava accadendo. Da quel momento mi vengono recapitate una sfilza di contestazioni di addebito del tutto false e l 8 aprile del 2010 vengo licenziata in tronco». Romina Licciardi non solo era sottopagata e sfruttata, ma con il licenziamento non ebbe neanche il trattamento di fine rapporto.

Così scriverà l'ispettorato del lavoro della Regione Sicilia a seguito degli accertamenti: «È risultato che codesta Camera del lavoro territoriale di Ragusa ha occupato alle dipendenze nel periodo dall'ottobre 1998 all'aprile 2010 la lavoratrice Licciardi Romina. Alla predetta Licciardi l'organizzazione sindacale Camera del lavoro territoriale di Ragusa ha corrisposto la retribuzione riportata sui prospetti di paga  alla stessa consegnati. Detta retribuzione, in relazione alle mansioni svolte dalla stessa, risulta inferiore a quella prevista  dai regolamenti della struttura Cgil, la differenza  di retribuzione tra quella registrata e quella dovuta  secondo i regolamenti sopra indicati è stata quantificata complessivamente in euro 77.135,00».

Segue persino una diffida da parte dell'ispettorato del lavoro regionale siciliano alla Cgil di Ragusa, con l'intimazione «a dimostrare entro il termine di 15 giorni dal ricevimento del presente verbale di avere corrisposto alla lavoratrice sopra indicata la retribuzione prevista dal suddetto regolamento e in particolare di avere corrisposto le indennità dovute in occasione della cessazione del rapporto di lavoro, compreso il Tfr».

Il verbale risale al 16 febbraio 2010, ma il 4 aprile 2012 un altro documento dello stesso ispettorato dava atto che «la camera del lavoro territoriale di Ragusa, sebbene diffidata a dimostrare di aver corrisposto la retribuzione prevista dai regolamenti per i dipendenti della Cgil e le indennità dovute in occasione della cessazione del rapporto di lavoro, compreso il Tfr, non ha dimostrato di avervi provveduto».

Viene da chiedersi se, quando il segretario generale Susanna Camusso si siede al tavolo con Confindustria e governo e si erge a paladina degli oppressi, sia consapevole di cosa accada tra la Cgil e i suoi licenziati. Soprattutto quando sono donne.


di Dimitri Buffa