domenica 1 aprile 2012
L'intero pianeta è oggi come un immenso crogiolo all'interno del quale si confrontano e sperimentano convivenze tra lingue, culture, storie, religioni, economie affatto diverse, spesso tra loro contrastanti. Questa globalizzazione non era mai stata prima d'ora intesa come tale dal mondo quale si conosceva e all'interno del quale ogni società era sostanzialmente chiusa in se stessa salvo, all'occorrenza, colloquiare in modo anche conflittuale con il vicino che, nel tempo, è diventato, ma solo geograficamente, sempre più lontano e contemporaneamente sempre più influente e penetrante sia con le proprie merci che con la propria economia e in seguito con la finanza. Le trasmigrazioni ormai enormemente facilitate di individui costituiscono il suggello del cambiamento.
Tutto questo comporta evidentemente per i capi di governo il dover affrontare situazioni mai prima d'ora riscontrate. Per quanto riguarda l'Italia, ma non solo, basti vedere il fenomeno delle migrazioni di massa o la perdita, sempre per migrazioni, di giovani preparati e intraprendenti che si avviano verso una esistenza e una carriera in ambiti più aperti e competitivi. Ad ulteriore esemplificazione la cosiddetta delocalizzazione dei capitali e del lavoro; fenomeno che investe tutti i paesi maggiormente avanzati. Poiché quanto sinteticamente descritto è una cornice ormai nota entro la quale si sta muovendo l'umanità intera, è quanto mai evidente come coloro che soprintendono alla politica e al governo degli stati devono necessariamente essere in grado di affrontare questa nuova condizione per la quale non solo occorrono doti e capacità adeguate, ma soprattutto l'intelligenza di capire che nulla è più come prima e che pertanto sono da abbandonare tutte le vecchie, e oramai logore, categorie dell'azione politica per affrontare con determinazione e competenza il nuovo. Aggiungerei però che non solo i politici e le classi dirigenti devono affrontare la sfida, ma che questa deve essere intesa e compresa come tale anche dai semplici cittadini che, per quanto di competenza, devono anch'essi essere consapevoli dei cambiamenti. Che non sono di poco conto.
Ritenere ancora che l'appartenenza a un corpo sociale, che una cittadinanza, possa mettere al riparo gli individui dalla necessità, sempre più cogente, di provvedere responsabilmente al proprio benessere come anche alla propria più semplice esistenza è fuorviante e quanto mai pericoloso. I singoli individui devono cominciare a pensare che il cambiamento che stanno vivendo, se da un lato riserva le agiatezze dei moderni ritrovati della scienza e della tecnologia, d'altro lato costringe a una dura competizione con il prossimo (anche se molto lontano come dicevo) per contendersi anche il semplice cibo quotidiano. Non ritengo infatti che l'approvvigionamento del cibo, nei supermercati prima e nelle dispense private poi, sia da considerarsi in futuro scontato e garantito. Sono sufficienti tensioni internazionali o crisi energetiche, tempeste monetarie come già viste o di proporzioni ancora maggiori; basta un conflitto in aree maggiormente sensibili e più vicine rispetto a quelle fino a questo momento interessate, per mettere in crisi il sistema articolato, complesso e "perfetto" delle società avanzate i cui componenti, anche per la fortunata epoca storica che li ha gratificati di una lunga pace, non sono più preparati ad affrontare anche le più semplici necessità o a sopravvivere in condizioni diverse dalle attuali. Tanto per maggiormente chiarire quanto detto, si rifletta circa l'incidenza sulla consuetudine di vita di una semplice mancanza di energia elettrica in casa o assenza di gas per il riscaldamento; per non dire di una generale caduta di sistema delle infrastrutture. Poiché tali evenienze sono sempre possibili, ma anche senza voler essere così catastrofici, è evidente che i sistemi di protezione degli individui, in particolare nelle nazioni che ne hanno fino ad ora garantito elevati livelli, sono sempre più a rischio. Così come si è dimostrato essere a rischio, ed è storia di questi ultimi anni e giorni, il mantenimento del Pil e il conseguente stato di benessere.
Di qui l'urgenza per ciascuno di noi di prendere atto della necessità di ricorrere al cambiamento, di ricercarlo: "cambiare tutto per far sì che tutto cambi" quindi e abbandonare la filosofia del Gattopardo che voleva si mantenesse la consuetudine nella rivoluzione.
Al momento la politica italiana, ma anche la società nel suo complesso, sta gettando via tempo prezioso, non ha coscienza dell'importanza dei cambiamenti in atto ed è colpevolmente rinchiusa in se stessa; essa agisce come un contadino che voglia raccogliere quando è invece tempo di aratura e di semina. Non predispone strumenti adatti per demolire parti di passato ormai inutili, e disegnare progetti utili per predisporre le condizioni necessarie ad affrontare il futuro. Prefigurandolo, individuando per sé e per i propri amministrati i campi nei quali poter meglio coltivare l'eredità lasciataci da una storia ricca di scienza e di arte, ambedue nate e prosperate in un territorio che la natura ha generosamente dotato.
È tempo di depurare la politica italiana sia della lezione devoluta al Principe dal Machiavelli, sia della furbesca sintesi politica del richiamato Principe di Lampedusa. Per la politica non è più tempo di mediocrità. E' piuttosto il tempo di affrontare le nuove frontiere che la realtà ci pone di fronte con competenza, preparazione, coraggio e spirito di servizio. Da parte di tutti: semplici cittadini e politici. I primi devono chiedere conto ai secondi del loro operato; essere per loro stimolo e non più complici in piccoli o grandi egoismi; essere consapevoli che il loro destino si gioca anche sulla necessità di incrementare la loro coesione e lo spirito di appartenenza. Ai più giovani bisognerà dare consapevolezza che solo sulla loro qualità e su ciò che sapranno esprimere, non sul loro numero, si fonderà la loro sopravvivenza e il loro benessere. I secondi, i nostri politici in esercizio permanente effettivo, non sono in grado di comprendere il momento. Hanno fatto ricorso ai "tecnici", continuano a pensare di essere gli eredi di Machiavelli. Costoro o riescono a mutar d'abito e di stoffa o è bene per noi che facciano il più volte invocato passo indietro. Le nuove frontiere richiedono ben altro che la loro insipienza e il loro malaffare. Fare pulizia a Roma, soggiorno e rappresentanza d'Italia, affinché possa essere possibile poi ripulire anche le altre stanze della casa comune italiana da nord a sud senza differenza alcuna è una condizione preliminare affinché nuove e valide iniziative, consone alle possibilità, vocazioni e capacità esistenti in questo Paese possano essere realizzate.
di Giuseppe Blasi