Geotecnica: dall’equilibrio nucleare al potere diffuso dell’Ia

martedì 29 aprile 2025


Il pensiero occidentale, fin dalle sue origini greche, è dominato dal nichilismo. Con questo termine non intendo la negazione di ogni valore, ma qualcosa di più radicale: la convinzione che le cose possano nascere dal nulla e tornare nel nulla. Questa convinzione è l’essenza dell’Occidente, il suo destino più profondo. Quando pensiamo che una cosa possa diventare altro da sé, stiamo in realtà affermando che quella cosa cessa di essere ciò che è – dunque diventa niente – e un’altra cosa inizia a essere – dunque viene dal niente. La tecnica contemporanea è l’espressione più compiuta di questo nichilismo. Nel suo tentativo di manipolare l’essere, di trasformare le cose in altre cose, essa testimonia la fondamentale convinzione che l’essere sia trasformabile, dunque che non sia necessariamente ciò che è, ma possa essere altro – e quindi da ultimo niente. La tecnologia moderna non è che la manifestazione più potente di questa volontà di negare la necessità dell’essere, di affermare la sua disponibilità alla manipolazione. Nella visione ingenua, la tecnica è un mezzo al servizio di fini ultimi.

L’uomo decide gli scopi, la tecnica fornisce i mezzi per raggiungerli. Ma questo rapporto si è ormai capovolto. La tecnica ha cessato di essere un mezzo e si è trasformata essa stessa nello scopo ultimo dell’agire umano. Non è più l’uomo che usa la tecnica per i propri fini, ma la tecnica che usa l’uomo per il proprio potenziamento. Questo capovolgimento è inevitabile, non accidentale. Quando la tecnica è diventata la forma più efficace per raggiungere qualsiasi scopo, è diventata necessariamente lo scopo supremo, poiché possederla significa possedere la chiave per ogni altro possesso. Il mezzo universale diventa necessariamente fine universale. Questo processo è in atto e tende a portare a una situazione in cui l’apparato scientifico-tecnologico non sarà più al servizio di ideologie, religioni o visioni del mondo, ma le utilizzerà tutte come strumenti propri.

Sebbene oggi capitalismi e socialismi, liberalismi e autoritarismi agiscano ancora in parte come fini autonomi, sempre più essi si configurano come mezzi attraverso cui l’apparato tecnico si sviluppa e si rafforza. La bomba atomica ha rappresentato la prima manifestazione evidente di questa processo in atto. Con l’arma nucleare, per la prima volta, l’umanità ha prodotto qualcosa che ha completamente trasceso le sue capacità di controllo. La potenza distruttiva dell’atomica non si misura solo nella sua forza esplosiva, ma nella sua capacità di sovvertire ogni calcolo politico tradizionale. Durante la Guerra fredda, le superpotenze hanno creduto di controllare gli arsenali atomici, ma in realtà sono state controllate dalla logica della deterrenza. L’equilibrio del terrore non è stato una scelta, ma una necessità imposta dalla tecnica stessa. La bomba ha creato un paradosso rivelatore: l’arma più potente è diventata anche la più inutilizzabile. Questo apparente controsenso nasconde una verità profonda: il potere della tecnica non consiste semplicemente nell’essere utilizzabile, ma nell’imporre la propria logica anche quando non viene usata. L’arma nucleare ha così realizzato la prima forma di sovranità tecnica planetaria. Un potere che trascende gli Stati, le ideologie, le decisioni politiche, imponendo la propria logica a tutti gli attori globali.

La logica dell’apparato tecnico è quella di un continuo potenziamento che supera ogni ostacolo che si frappone alla sua crescita. Anche il dominio nucleare, pur nella sua immensa potenza, portava con sé un limite intrinseco: la sua visibilità, la sua localizzabilità, la sua appartenenza a entità politiche identificabili. Questo lo rendeva e lo rende ancora parzialmente controllabile attraverso accordi, trattati, verifiche incrociate. La logica dell’espansione tecnica non può accontentarsi di questa forma ancora imperfetta di dominio. È necessario che emergano forme sempre più sofisticate e meno controllabili di potenza. L’intelligenza artificiale rappresenta una fase significativa di questa evoluzione necessaria. A differenza dell’arma nucleare, l’Ia possiede tre caratteristiche che la rendono una manifestazione più compiuta del dominio tecnico: la capacità di autoevoluzione, la tendenza alla decentralizzazione, e una progressiva invisibilità. La capacità di autoevoluzione permette all’Ia di modificarsi secondo logiche che sfuggono progressivamente alla comprensione dei suoi stessi creatori. È la tecnica che finalmente diventa autopotenziante, realizzando la propria essenza più profonda: non essere strumento di altro, ma strumento di se stessa. La decentralizzazione rende l’Ia molto più difficile da controllare rispetto all’arma nucleare. Mentre gli arsenali atomici potevano essere monitorati, contati, localizzati, l’intelligenza artificiale si diffonde ovunque, difficile se non impossibile da contenere entro confini prestabiliti.

L’invisibilità, infine, rende il dominio dell’Ia più pervasivo e insieme meno contrastabile. Non c’è un “bottone rosso” da premere o non premere, ma una rete di decisioni automatizzate che plasmano silenziosamente ogni aspetto della realtà quotidiana. Il passaggio dalla fase di dominio nucleare alla fase di dominio dell’intelligenza artificiale – in cui noi siamo immersi – comporta necessariamente una fase di maggiore conflittualità globale. Questo non deriva da scelte politiche contingenti, ma da una necessità strutturale: mentre il controllo della tecnologia nucleare poteva essere centralizzato nelle mani di poche potenze, l’Ia tende per sua natura alla diffusione. Le potenze tradizionali – Usa in testa – tentano disperatamente di mantenere il controllo esclusivo su una tecnologia che, per sua essenza, sfugge a ogni monopolio. Questo tentativo è destinato al fallimento, non per l’incapacità dei decisori politici, ma per la logica intrinseca dello sviluppo tecnico. Questa impossibilità strutturale di controllo centralizzato genera inevitabilmente una fase di competizione intensa, dove Stati, corporazioni e persino gruppi non statali lottano per il predominio in un campo che, per sua natura, resiste a essere dominato. Non è una scelta, ma una necessità: la tecnica segue il proprio destino di espansione utilizzando questa competizione come motore del proprio sviluppo. Ciò che appare come conflitto geopolitico è in realtà il processo attraverso il quale la tecnica supera le vecchie forme di sovranità politica per instaurare il proprio dominio planetario ovvero alla geotecnica.

Questa fase di conflittualità non è però destinata a durare indefinitamente. Come la guerra nucleare non è mai scoppiata, non per la saggezza degli uomini, ma per la logica intrinseca della deterrenza, così anche la guerra dell’intelligenza artificiale troverà il suo equilibrio non per scelte politiche, ma per necessità interne alla tecnica. Quando l’Ia avrà raggiunto un grado sufficiente di autonomia e pervasività, si instaurerà una nuova forma di equilibrio planetario: la pax technica. Non si tratterà di un evento apocalittico come spesso si tende a credere, ma del compimento di un processo iniziato con l’avvento della modernità tecnica. In questa nuova configurazione, i rapporti di potere non saranno più determinati dal possesso di arsenali distruttivi, ma dalla capacità di integrazione nei flussi dell’intelligenza tecnica. Il potere non sarà di chi possiede l’Ia, ma di chi è posseduto da essa, di chi meglio si adatta alle sue logiche e alle sue esigenze. Con la conseguente fluidità del concetto di Stato e di confini territoriali che tenderanno a confluire verso una forma di Superstato planetario.

Le illusioni umanistiche sul controllo della tecnica verranno definitivamente superate non da una catastrofe, ma da un lento adattamento, come un marinaio che, dopo aver creduto di poter piegare il vento alla propria volontà, finisce per apprendere che può solo orientare le vele secondo la direzione che il vento impone. La sovranità della tecnica non è dunque una sciagura da combattere, ma un destino da comprendere. Naturalmente, è appena il caso di ricordarlo, tutto ciò rimane in piedi se e solo se si fanno proprie le premesse nichiliste ricordate all’inizio. Altro discorso è il discorso Altro che dice la verità dell’essere. Se infatti l’essere non può venire dal nulla né ritornare nel nulla, allora ogni mutamento, ogni divenire, ogni tecnica, è illusione. L’apparato tecnico, con tutto il suo immenso potere, non sarebbe che il gioco apparente di un destino che non può essere infranto, né manipolato. In questa luce, la geotecnica, il Superstato planetario, la pax technica non sarebbero il compimento della verità, ma l’ultimo grande travestimento dell’oblio dell’essere. Comprendere il destino della tecnica significa dunque, in ultima istanza, comprendere il suo limite più radicale: quello di essere, nonostante tutta la sua forza, fondata sull’errore originario del pensiero occidentale. Un errore che solo il pensiero che dice l’eternità dell’essere può finalmente dischiudere, strappando il velo della necessità apparente e restituendo lo sguardo all’inviolabilità dell’essere.


di Claudio Amicantonio