lunedì 14 aprile 2025
Mark Zuckerberg contro il governo. Sta per iniziare uno dei processi più importanti della storia recente americana, con l’Antitrust a stelle e strisce che ha citato in giudizio Meta, la Big Tech del genio inventore di Facebook. Che deve difendersi dalle accuse intentate dalla Federal trade commission, secondo cui il colosso guidato da Mark Zuckerberg avrebbe mantenuto il monopolio nel settore dei social media attraverso l’acquisizione di potenziali rivali come Instagram (2012) e WhatsApp (2014), ostacolando la concorrenza e consolidando una posizione dominante. Un verdetto sfavorevole potrebbe ridisegnare non solo il futuro di Meta, ma anche gli equilibri su cui si fonda l’intero ecosistema tecnologico americano. Oltre alle conseguenze economiche e regolatorie, il procedimento rischia di incidere su un’alleanza rivelatasi strategica negli ultimi mesi: quella fra Donald Trump e lo stesso Zuckerberg. Un rapporto evolutosi bruscamente dopo il fallito attentato contro l’ex presidente – il primo – episodio che ha profondamente influenzato la visione politica e culturale dell’amministratore delegato di Meta. Da allora, il miliardario della Silicon Valley ha intrapreso una netta virata ideologica, abbandonando l’impostazione liberal che aveva segnato l’era pre-pandemica della tech industry.
La svolta ha un momento preciso: la reazione dell’ex presidente agli spari esplosi da Thomas Matthew Butler, e quell’immagine diventata virale – volto insanguinato, pugno alzato – che ha colpito profondamente Zuckerberg. “È stata una delle cose più toste che abbia mai visto in vita mia”, ha dichiarato in seguito all’attentato, dando avvio a un riposizionamento culturale e politico che lo ha visto criticare duramente il mondo corporate, definito “castrato”, e rivalutare il concetto di energia maschile come “buona”. In linea con questa nuova impostazione, Meta ha interrotto il fact-checking sulle piattaforme Facebook e Instagram, smantellando anche i programmi dedicati all’inclusione e alla diversità. Zuckerberg ha inoltre partecipato alla cerimonia del giuramento di Trump e acquistato una residenza nella capitale, con l’intento dichiarato di collaborare più attivamente con l’amministrazione repubblicana su dossier tecnologici di interesse nazionale.
Nonostante l’avvicinamento politico, l’amministratore delegato di Meta non è riuscito finora a ottenere lo stop al processo. Di fronte al giudice James Boasberg, la Ftc – ora allineata alla linea dura voluta da Trump – accusa l’azienda di aver sistematicamente ostacolato la concorrenza, o inglobando le startup emergenti o replicandone i servizi per soffocarne lo sviluppo. Meta respinge categoricamente le accuse, sostenendo che l’attuale panorama digitale è altamente competitivo, con attori come TikTok, Snapchat, Reddit e LinkedIn in costante ascesa. La difesa ricorda inoltre che le operazioni di acquisizione contestate furono approvate a suo tempo dalle autorità federali, senza che venisse rilevato un impatto negativo per i consumatori.
Il processo dovrebbe protrarsi per diverse settimane e rappresenta il primo banco di prova per l’amministrazione Trump sul fronte dell’innovazione tecnologica e della regolamentazione del potere economico delle Big Tech. Una sentenza favorevole al governo potrebbe avere effetti sistemici, imponendo un giro di vite normativo su fusioni e acquisizioni nella Silicon Valley, dove molte startup vedono nella vendita a colossi consolidati l’obiettivo finale del proprio sviluppo. Per Meta, una sconfitta significherebbe la prospettiva concreta di una scissione forzata, con la separazione di Instagram e WhatsApp dal gruppo originario.
di Redazione