mercoledì 19 marzo 2025
Certamente non si tratta di una passeggiata di salute. Già l’idea di passare qualche ora in orbita è qualcosa di lontanissimo al 99 per cento della popolazione mondiale, e passare nove mesi a bordo della Stazione spaziale internazionale è un’impresa più unica che rara. Questo piccolo “incidente di percorso” è accaduto alla comandante Suni Williams e al capitano Butch Wilmore, che sono rimasti sull’Iss per tutto quel tempo invece degli otto giorni (!) inizialmente previsti. Un piano studiato nei minimi dettagli che si è trasformato in un’odissea spaziale durata quasi un anno. Il loro rientro era previsto per giugno 2024, ma problemi tecnici alla capsula Starliner della Boeing hanno reso impossibile riportarli sulla Terra. Così, invece di una settimana di missione, hanno trascorso nove mesi in assenza di gravità. Per poi poter finalmente tornare sul loro pianeta ieri sera, grazie a un intervento di SpaceX. La loro avventura doveva essere una semplice missione di prova. Starliner, il nuovo veicolo della Boeing, doveva dimostrare di essere pronto per trasportare astronauti da e per l’Iss. Un volo di routine, in teoria. Ma una volta in orbita, qualcosa non è andato come previsto: la capsula ha evidenziato problemi tecnici tali da non essere considerata sicura per il rientro. E Williams e Wilmore non hanno potuto fare altro che constatare di aver preso un volo di sola andata verso la stazione spaziale, senza sapere con esattezza quando sarebbero potuti tornare. Alla fine, la Nasa ha deciso di affidarsi a un’altra soluzione. Dopo mesi di attesa e incertezze, una navicella Crew Dragon di SpaceX ha finalmente riportato i due astronauti a casa, chiudendo un capitolo che nessuno si sarebbe aspettato di scrivere.
Sei mesi sono già considerati il limite consigliato per la permanenza nello spazio. Williams e Wilmore l’hanno abbondantemente superato. Gli effetti di un’assenza prolungata di gravità sono ben documentati, ma ogni nuova esperienza aggiunge dati preziosi per capire cosa accade realmente al corpo umano in queste condizioni estreme. Il senso del discorso del professor Mariano Bizzarri – esperto dell’Università La Sapienza di Roma – è che i due astronauti si sono trasformati, loro malgrado, da esploratori a cavie. In un colloquio con Il Sole 24 Ore il professore ha spiegato le conseguenze fisiche di una missione così lunga: “Cominciamo con il dire che, proprio perché siamo ben consapevoli, come in un prolungato stage nello spazio, una esposizione a microgravità, elementi, azioni per un periodo così lungo è espressamente vietato dai regolamenti, tant’è che si ritiene che normalmente non bisogna eccedere i sei mesi”. Tuttavia, nella storia dell’esplorazione spaziale ci sono stati astronauti rimasti in orbita ancora più a lungo: “Abbiamo tuttavia esempi storici recenti di alcuni astronauti – continua Bizzarri – tra cui almeno due ex astronauti sovietici, che sono rimasti per più per quasi 500 giorni a bordo della Stazione spaziale e che quindi costituiscono un deterrente, un punto di riferimento storico”.
Gli effetti sul fisico sono significativi. “Tutti gli organi sono coinvolti. Cominciamo dai più evidenti, i più appariscenti. Un abbassamento della densità ossea, cioè una riduzione della massa ossea che dopo nove mesi può arrivare fino al 15 per cento. Un quadro complessivo – prosegue Bizzarri – che simula quello dell’osteoporosi visto a terra. Parallelamente c’è una riduzione di pari entità della massa muscolare, tant’è che gli astronauti che anche sono stati poco più di sei mesi, il più delle volte, una volta scesi a terra hanno la necessità di chiedere l’aiuto di un’equipe che li tiri fuori e li accompagni, li metta in carrozzella, per procedere poi alla riabilitazione”.
Nonostante i progressi della medicina spaziale, il recupero dopo un’esperienza del genere non è immediato. “È il bello della medicina, è che il tuo oggetto non è generico come gli oggetti della fisica. Un sasso vale l’altro. L’oggetto della medicina e della biologia è altamente specifico – sottolinea Bizzarri – Cosa vuol dire? Vuol dire che in base alle statistiche sappiamo che occorreranno non meno di sei mesi per una completa restitutio ad integrum. Ma potrebbe volerci anche di più. Dipende da come i due astronauti hanno vissuto questi nove mesi. Dipende dalle loro caratteristiche di base e sono informazioni che al momento non sono in mio possesso, ma di sicuro un lungo periodo di intensa riabilitazione li attende”.
di Zaccaria Trevi