Microguerre spaziali, “space is the place”

giovedì 13 febbraio 2025


La guerra contro le dittature del Novecento non terminò nel 1945 ma nel 1989, grazie a due azioni statunitensi geopolitiche da parte dell’ex presidente Ronald Reagan. In quanto presidente, utilizzò una policy reale, abbassando con l’Arabia e l’Opec il prezzo di petrolio e gas. In quanto attore, Reagan costruì una politica che in buona parte era una fiction: l’iniziativa di riarmo chiamata dai media guerre stellari. A quel punto l’Unione sovietica dovette spendere anche per lo sviluppo di satelliti per lo spionaggio. Ciò, col petrolio in ribasso, contribuì al fallimento economico sovietico, in primo luogo dovuto alle politiche economiche comuniste, che portarono a un inesorabile suicidio dei Soviet, compensato solo in parte dal vampirismo ai danni delle colonie soggette, come l’Europa orientale, alcune Nazioni afroasiatiche – solo formalmentelibere”, vedi la guerra di aggressione russa in Afganistan, per non parlare delle repubbliche sovietiche dell’Asia centrale, oggi più o meno (vedi Cecenia e Georgia) indipendenti, senza dimenticare la  Siberia fino allo Stretto di Bering.

Oggi la storia potrebbe ripetersi: gli Stati Uniti hanno uno potere tecnologico spaziale molto marcato, che si basa sullo storico player della Nasa e sulle tradizionali company della telecomunicazione, ma anche sulla colossale business machine di Elon Musk, in cui la parte spazio e comunicazione è oggi preponderante. Il numero due della presidenza Trump ha fondato e presiede SpaceX, la compagnia visionaria (senza “visione” non si fa politica né si migliora l’economia, diciamolo ai sindaci e ai politici europei) che ha spostato l’orizzonte terrestre verso Marte e la Luna. Musk ha inoltre fondato The Boring Company, un’evoluzione delle multinazionali delle infrastrutture come l’italiana Webuild – che nel 2023 ha fatturato dieci miliardi di euro – o la China State Construction Engineering, la prima al mondo per il settore, che ha 383mila dipendenti. Anche la Boring di Musk è una “vision company”. Macinerà poco, però ha aperto nuovi modi di pensare alle infrastrutture di trasporto: il campo di azione è ristretto ai tunnel urbani anti-traffico, e al progetto Hyperloop. Musk a volte sembra delirare ma non è solo, se si pensa a Richard Branson e al suo Virgin group che comprende 400 aziende tra cui Virgin galactic, la compagnia del turismo spaziale. Parliamo di una “Grammatica dell’economia” simile in certe forme alla “Grammatica della fantasia” di Gianni Rodari. Parliamo anche della pre-fantascienza sociale di Charles Fourier e di fantascienza realizzata. Questi nuovi business men saranno pure sbruffoni e pasticcioni, ma nello spazio ci vanno, mentre l’Europa resta a inveire, pallida ma decisa come un veterano bonapartista o un qualsiasi Marco Travaglio.

Elon Musk, oltre ad avere dato alla luce Tesla, ha c-ofondato Neuralink (con una missione aziendale volta al coordinamento e comunicazione tra cervello e dispositivi elettronici come robot e computer). Neuralink si occupa di dare nuove chance a chi – per esempio – non può più muoversi o parlare. Poi ci sono i social network come Twitter, di cui Musk è amministratore delegato (ma sembra voglia diventarne il primo azionista di OpenAi). Da liberale non voglio esprimere una lode acritica alla tecnocrazia, ma nemmeno levare contro la modernità lamentazioni e anatemi papali, alla maniera del sempreverde marxismo-leninismo o della socialdemocrazia confusionaria del Partito democratico, oscillante tra preistoria, fine della storia, opposizione alla tivù a colori e alla tivù privata, culto per le proprie personalità e odio per le personalità altre, indifferenza o peggio sulle foibe… e qualche buon affare con la tecnocrazia pur sempre additata come nemica dei contadini e degli operai

Bill Gates e la Silicon Valley sono una premessa necessaria all’evoluzione di Musk, Richard Branson, Mark Zuckerberg e altri, tutti figli di Philip K. Dick e fratelli della serie Netflix più fisico-quantistica che sia stata partorita: Manifest. Vedremo dai risultati, ma temo che ci sia una premessa A: la nuova tecnologia toglie fantasia agli europei e la aumenta negli statunitensi (nel business e nella politica); premessa B: prima di giudicare gli attori di questo nuovo cambiamento, iniziato dalle aziende di Musk & Co, e ufficializzato dalla Ia di OpenAI, sarebbe bene che il sempre più abominevole giornalismo millenarista sospendesse il pregiudizio, in attesa di successi o insuccessi, buone o cattive notizie.

Veniamo al centro della riflessione: le guerre satellitari e spaziali. Dietro alla corsa ipertecnologico-fantasticante ci sono ripercussioni anche sul piano militare. I satelliti, riporta il Council on foreign relations, “Sono essenziali per la sicurezza degli Stati Uniti, perché li rendono in grado di comunicare con le sue forze armate nel mondo, raccogliere informazioni, prevenire attacchi nucleari”. Gli Stati Uniti hanno un vantaggio strategico su ogni altra Nazione. “In particolare SpaceX ha rivoluzionato il concetto di spazio” con la possibilità di riutilizzare i vettori. La Cina è il competitore più vicino (anche l’India sta recuperando). Intanto aumenta la vulnerabilità delle infrastrutture di comunicazione nello spazio o sulla Terra, più facili da distruggere con la guerra elettronica e i missili anti-satellite (Asat). Non a caso il presidente Trump (con Musk) ha dichiarato “lo spazio è una priorità nazionale”.

Dal 2018 i satelliti “payload” posizionati su un’orbita bassa sono quadruplicati. I detriti spaziali in orbita attorno alla Terra più grandi di 10 centimetri di diametro, sono circa 40mila e viaggiano a 18mila chilometri orari. I detriti in orbita possono e potranno causare collisioni coi satelliti e minacciano di distruggere vite umane nella Stazione spaziale o nelle navette che lì trasportano astronauti e rifornimenti (e altre Stazioni spaziali andranno in orbita). Non esiste un’istituzione internazionale dedita alla gestione del problema dei detriti spaziali. Ma il problema è anche strategico, aggiunge il Council of foreign relations. Il lancio del primo Sputnik da parte dell’Unione sovietica risvegliò gli Stati Uniti, portandoli allo sbarco sulla Luna di 12 anni dopo. Adesso la questione è simile, data l’alta fragilità delle strutture di comunicazione su Terra e in orbita.

Se il problema del “traffico spaziale” è importante per tutto il genere umano, si deve tuttavia pensare anche alla vulnerabilità rispetto a potenziali attacchi aerospaziali da parte di Cina o Russia. Ciò ha senso soltanto se si parte dalla realtà legale attuale, quando vige l’Outer space treaty siglato a Londra, Washington e Mosca nel 1967. In quell’anno non si pensava certo allo sfruttamento di risorse come l’Elio3 presente sulla Luna, ragion per cui il Trattato fondamentalmente prevedeva due articoli, il primo dei quali era riferito al divieto di trasportare e utilizzare armi nucleari nello spazio o su Luna e altrove. Il secondo punto decisivo era simile a quello vigente nell’Antartide: nessuno Stato può proclamare sovranità su territori extraterrestri (la Luna in primis, in questi anni oggetto di una nuova gold rush). La task force del Council raccomanda che il governo statunitense incrementi (revitalize) la leadership nello spazio. Il dipartimento della Difesa e il National security council dovrebbero cooperare all’obiettivo di risolvere i punti di vulnerabilità e di applicare una deterrenza. Le azioni da prendere riguardano soprattutto il principale competitore, la Cina, su un piano legislativo, tecnologico, militare. Si dovrebbe considerare il coinvolgimento di organismi internazionali come l’Ufficio Onu per gli Outer space affairs (Unoosa) e la International telecommunication union (Itu), includendo soggetti privati e Ong.

È necessario evitare che si ripetano eventi come la distruzione con un missile Asat da parte della Cina di un suo satellite dismesso. Si trattò di un test sulla possibilità di distruggere satelliti nemici, che creò 3.000 nuovi detriti. Nel 2009 un Cosmos 2251, un vecchio e inattivo satellite russo, colpì un satellite Iridium, producendo 2.000 detriti spaziali. Non sappiamo al momento se la distruzione voluta di satelliti – mascherata da incidente – potrebbe rallentare i programmi spaziali degli Stati Uniti, riducendo il gap russo-cinese. Di sicuro siamo di fronte alla crescita dello space warfare, sperando che rimanga una questione difensiva e non offensiva.


di Paolo Della Sala