martedì 4 febbraio 2025
Le regole sono uguali per tutti ma forse noi siamo troppo zelanti nell’applicarle?
Il Garante italiano per la privacy ha intimato a DeepSeek, il concorrente cinese alle intelligenze artificiali occidentali come ChatGpt, di sospendere i suoi servizi in Italia. L’azienda ha risposto di non essere attiva nel nostro né in altri Stati membri dell’Ue, e quindi di non sentirsi vincolata dal diritto unionale. L’Autorità per la protezione dei dati personali ha dunque avviato un’istruttoria. Al momento, DeepSeek non è più disponibile sui principali app store (come Apple e Android) ma è liberamente accessibile dal web. I rilievi del Garante riguardano le modalità di raccolta e trattamento dei dati personali degli utenti italiani e la loro conservazione su server in Cina. Almeno negli esiti, il caso è simile a quello del 2023 contro ChatGpt, che fu a sua volta bloccato. Per tornare online, dovette introdurre alcune modifiche, tra cui la pubblicazione di maggiori informazioni sul trattamento dei dati e un modulo per consentire agli utenti di esercitare il diritto di opposizione, appunto, al trattamento dei dati. Ciascuno può farsi l’idea che crede riguardo a quale sia il giusto livello di tutela della riservatezza dei dati personali e se le attuali normative siano adeguate o sproporzionate. Ci sono però due anomalie che vanno sottolineate e che dicono molto sull’Italia e sull’Europa.
Il Garante italiano non fu l’unico a muovere dei rilievi a ChatGpt, ma fu l’unico a bloccarlo. Allo stesso modo, oggi non è l’unico a pretendere chiarimenti da DeepSeek (sembra si siano mosse anche le sue controparti irlandese, britannica, francese e coreana, tra le altre) ma, ancora una volta, l’Italia è l’unico paese a pretenderne il blocco. Insomma: le regole sono uguali per tutti ma forse noi siamo troppo zelanti nell’applicarle? L’altra considerazione è più ampia. L’esperienza di DeepSeek – che è ancora tutta da studiare – sembra suggerire che sia possibile raggiungere prestazioni paragonabili a quelle delle Intelligenze artificiale più avanzate sostenendo costi e consumi energetici molto inferiori. L’Europa dovrebbe esultare di fronte a questo fatto, perché significherebbe che si può giocare questa partita senza compromettere l’ambiente (evviva!) e che le barriere tecnologiche che credevamo di dover superare forse non sono così ripide (doppio evviva!). Inoltre, anche se non si arriva per primi a sviluppare software simili, pare sia possibile raggiungere i leader contando più sulla creatività e sull’intelligenza che su montagne di denaro pubblico (questo, per l’Europa, più che un evviva è uno sgrunt). Detto in altri termini: la frontiera della ricerca non è solo sull’hardware ma anche sul software. Ciò dovrebbe indurci a riflettere criticamente su tutto quello che stiamo facendo e sugli obiettivi stessi delle regole che ci stiamo dando: se le norme impediscono nei fatti di sperimentare e allenare gli Llm, allora il gap tra l’Europa e gli altri – di cui tutti apparentemente si lamentano – non è dovuto al destino cinico e baro, né a una pretesa carenza di investimenti pubblici, ma alle nostre stesse scelte regolatorie. La questione centrale non è allora la validità della decisione del Garante italiano su DeepSeek – su cui pure, ovviamente, c’è molto da dire – ma il senso della disciplina che negli ultimi anni si è stratificata. E che serve a tutelare gli europei non dagli abusi, ma da qualsiasi novità.
di Istituto Bruno Leoni