venerdì 5 giugno 2020
Proprio nel mio precedente articolo mi sono occupata di analizzare come la pandemia ed il conseguente lockdown abbiano modificato le abitudini di utilizzo dei dispositivi elettronici e dell’accesso al web ed ai social media da parte di chi, costretto a rinunciare ad uscite, evasione, sport e vita sociale, ha trovato in rete una via di fuga accessibile a cui ricorrere con sempre maggiore frequenza. E non solo come passatempo, ma anche come veicolo di lavoro e istruzione: videochiamate, chat, webinar e conference call sono stati gli strumenti con cui molti adulti, impegnati professionalmente, hanno mantenuto vivo il contatto con colleghi, clienti e dipendenti. Ma altrettante, se non più ore di connessione sono state propinate a tutti i ragazzi che durante questo periodo di isolamento hanno continuato a seguire le videolezioni organizzate dagli insegnanti per scongiurare un’interruzione drastica dell’anno scolastico in corso.
Ebbene, secondo una recente ricerca intitolata “Giovani e quarantena”, promossa dall’associazione nazionale Di.Te. in collaborazione con Skuola.net e che ha intervistato 9.145 ragazzi tra gli 11 e i 21 anni, questo periodo di quarantena, caratterizzato da un sovraccarico tecnologico, non è stato affatto gradito: ben l’80 per cento del campione, alla domanda su come sarebbe stato il periodo di lockdown senza tecnologia, ha affermato che avrebbe vissuto meglio.
Se è vero, infatti, che Internet li ha aiutati molto nella scuola, nei rapporti con gli amici e nel riempire i momenti vuoti della giornata e che smartphone, tablet e computer si sono trasformati in un punto di riferimento per un’intera generazione, è emerso quanto la maggior parte dei giovani avrebbe preferito trascorrere più tempo con i propri genitori e familiari stretti. Molti ragazzi, quindi, nonostante vivano in casa con uno o entrambi i genitori, si sentono soli e a percepire questo senso di solitudine è il 74 per cento degli intervistati, per i quali la tecnologia è social ma per nulla socializzante.
Da un giorno all’altro, i giovani hanno perso la maggior parte dei loro punti di riferimento reali e tangibili quali il gruppo della scuola, i compagni dello sport e le uscite in gruppo tra coetanei, per trovarsi proiettati, per molte ore della giornata, in un mondo virtuale, intangibile e molto spesso stravolgendo completamente la loro routine quotidiana e i loro stili di vita. La prima conseguenza di tutto questo è che molti di questi ragazzi, più di uno su tre, si sentono gettati nello sconforto e non riescono ad immaginare il proprio futuro e soprattutto hanno la percezione che sarà difficoltoso.
“Questo è un dato su cui dobbiamo porre attenzione – sottolinea Giuseppe Lavenia, psicologo, psicoterapeuta e presidente dell’associazione Di.Te. – I ragazzi, in questo momento di isolamento, non hanno certezze, non riescono a sognare come sarà il loro domani. Avere la capacità di desiderare è il motore della vita. Se lo si tiene spento, si rischia di non andare da nessuna parte e di alimentare situazioni spiacevoli mosse dall’aggressività o sopite dall’apatia”.
Insomma, ansia, preoccupazione, solitudine e depressione sembrano essere in agguato ed emerge chiaramente come a questi giovani occorra essere ascoltati, compresi e rassicurati sul futuro che li aspetta. Possibilmente spegnendo qualsiasi schermo e guardandoli negli occhi.
di Chiara Gulienetti