venerdì 17 aprile 2020
Si chiama “Cura” ed è l’acronimo per Connected Units for Respiratory Ailments (Unità connesse per le malattie respiratorie); si tratta di un ennesimo caso di diversificazione dell’attività, in questo caso in seno al mondo dell’architettura e del design, da dove la collaborazione si è estesa all’ ambito medico per mettere a punto risposte efficaci all’emergenza coronavirus.
Nello specifico, un gruppo internazionale di designer, ingegneri, medici ed esperti militari, a partire da un’intuizione ideata nello Studio di architettura Carlo Ratti di Torino, hanno creato un team interdisciplinare per dare vita ad un progetto per la realizzazione di nuove unità di terapia intensiva a partire da container da trasporto riconvertiti.
Il primo prototipo, che è attualmente in fase di sviluppo a Milano, prevede che con poche operazioni di trasformazione, queste unità diventino parte di veri e propri ospedali da campo con diverse caratteristiche importanti. Innanzitutto sono molto facili da assemblare, e, allo stesso tempo, sono estremamente sicure per lo svolgimento al loro interno di attività medica poiché, proprio come nei tradizionali reparti di isolamento, grazie a dispositivi di biocontenimento con pressione negativa, assicurano un ambiente del tutto simile a quello ospedaliero.
Sono inoltre facilmente trasportabili e potrebbero quindi rappresentare una risposta molto efficace in qualsiasi parte del mondo dove si renda necessario incentivare esponenzialmente i posti letto di terapia intensiva per i nuovi malati di Covid-19, così come già avvenuto nel nord Italia.
Le dimensioni del container sono quelle classiche di una unità di spedizione di circa 6 metri di lunghezza e potrà ospitare fino a due pazienti affetti da gravi patologie respiratorie indotte dal coronavirus: proprio come le terapie intensive ospedaliere, saranno dotati di ventilatori polmonari e supporti per infusioni endovenose operando in totale autonomia. All’occorrenza, però, i container Cura potranno essere connessi tra loro attraverso strutture gonfiabili, fino a generare configurazioni modulari multiple di oltre 40 posti letto, anche in prossimità di strutture ospedalieri esistenti.
“Qualunque sia il corso della pandemia, una cosa è certa – ha affermato Ratti, architetto torinese con una cattedra al Mit di Boston – Sebbene le tende ospedaliere tradizionali siano veloci da montare, espongono i professionisti medici ad un rischio maggiore di infezione. Cura è progettato per essere altrettanto rapido da implementare ma i suoi contenitori funzionano a pressione negativa, fungendo da camera di isolamento per limitare la diffusione del virus”.
Il progetto è sviluppato senza scopo di lucro con il sostegno di Unicredit, del World Economic Forum, attraverso le piattaforme Covid-19 e Cities e con il contributo di enti e persone provenienti dagli ambienti più disparati. È anche realizzato in modalità “open source”, che significa che il team è pronto ad accogliere con favore qualsiasi suggerimento di perfezionamento ed implemento del sistema.
Cura spera di riuscire a completare il prototipo di Milano in tre settimane riuscendo così ad espandere i posti disponibili di terapia intensiva più velocemente di quanto si stia espandendo il virus.
di Chiara Gulienetti