Internet ha bisogno soltanto di libertà

venerdì 17 ottobre 2014


I sacerdoti della “Costituzione-più-bella-del-mondo” ne hanno fatta un’altra e impossibilitati a conservare la costituzione italiana dall’assalto riformatore di matrice renzian-alfanian-forzista, hanno deciso di scriversi una Magna Charta tutta loro. Essendo abituati a pensare in grande, non si sono limitati al belpaese, si sono spinti più in là e hanno scelto di regolare Internet.

La Rete è diventata, quindi, l’oggetto di discussione di un’improbabile commissione “per i diritti e i doveri relativi ad Internet”, insediatasi alla Camera e presieduta da Laura Boldrini. Il Gruppo di lavoro ha poi scelto di avvalersi di soggetti tecnici in grado di stendere materialmente un testo di Magna Charta 2.0 e questi “saggi”, guidati dall’infaticabile Stefano Rodotà (Ro-do-tà, Ro-do-tà!), hanno prodotto 14 articoli di belle speranze e frasi fatte su diritti, neutralità della rete, partecipazione. Segue, more solito, standing ovation (con la rara eccezione di Carlo Lottieri su Il Giornale) di nuovi e vecchi mezzi di comunicazione al grido di “Contro i padroni del web” e “Anche la Rete ha la sua Carta”.

Intravediamo in tutto questo un sinistro retrogusto di statalismo, dirigismo e goffo tentativo di rovinare l’unico mercato rimasto quasi libero in questo disastrato pianeta. La questione è davvero molto semplice e un ritorno ai fondamentali, anche giuridici, sarebbe stato sufficiente ad evitare l’ennesima inutile legge e l’ennesima inutile regolazione. Noi conservatori un po’ grezzi riteniamo che gli uomini abbiano dei diritti inviolabili: tali sono in ogni campo dell’agire umano. C’è il diritto a non essere discriminati: vale sul lavoro, per strada, in rete. Non dovrebbe servire una Costituzione, nel 2014, per sancire che un furto è un furto e un abuso è un abuso.

Questo paese, invece, sente il bisogno di primeggiare in termini di bizantinismi legislativi e pensa di dover offrire al mondo una soluzione per la regolazione del più grande network che la storia dell’uomo abbia conosciuto: l’Italia che ha iniziato a costruire la Salerno-Reggio Calabria con la tv in bianco e nero e che la terminerà sotto il regno di Netflix, pretende di spiegare alla rete come bisogna stare al mondo.

È chiaro che l’intento è un altro e spunta da quella retorica malcelata che plaude a queste iniziative come se fossimo davanti alla sconfitta della schiavitù e della tirannia. Ora, molto rapidamente: per il diritto di accesso alla rete hanno fatto di più i governi con le loro leggi e i loro piani mai attuati o le imprese private con le loro iniziative e i loro investimenti? E in tema di libertà di espressione hanno fatto di più le organizzazioni sovranazionali così lungamente richiamate da Rodotà perché si occupino della rete o le tante multinazionali che si vorrebbero limitare e combattere e che hanno garantito – spesso gratis – piattaforme di veicolazione di messaggi che sfuggissero al controllo di tiranni di ogni genere?

Noi rimaniamo ancora sulle posizioni espresse negli anni Novanta da pionieri come George Gilder e John Perry Barlow (l’autore della indimenticabile “Dichiarazione d’Indipendenza del Cyberspazio“). Chiamati con disprezzo “tecno-utopisti californiani”, questi pensatori intravedevano nella rivoluzione digitale un modello di sviluppo aperto, spontaneo, libero, decentrato e anti-statalista opposto a quello prefigurato dai Leviatani mondiali con le loro smanie dirigiste. Niente intervento pubblico, insomma, niente Information Highways a cura della premiata ditta Clinton-Gore (qui ci accontentiamo di Boldrini-Rodotà), niente privilegi per i grandi monopolisti delle tlc, niente diffusione “forzata” di Internet. La ricetta per affrontare le sfide del futuro era e rimane molto semplice: lasciare in pace il mercato. Il centrodestra su questo tema ci sarebbe dovuto arrivare prima degli altri, perché era connaturato alla propria ragione sociale, al proprio essere aggregazione culturale a difesa delle libertà d’impresa e d’innovazione contro le aggressioni regolatorie. Invece no, anche questa volta, un silenzio assordante: il duo Boldrini-Rodotà sforna una nuova costituzione, un nuovo grimaldello con cui lo Stato trasferirà sulla rete – unico mercato dinamico rimasto – le sue frustrazioni etiche e redistributive e nessuno che senza il bisogno di opporre un minimo di resistenza.

Volete fare qualcosa per Internet, per la sua diffusione, per il miglioramento delle sue condizioni di accesso? Scrivete una Costituzione in meno e tagliate una tassa in più.

Tratto da Notapolitica


di Andrea Mancia e Simone Bressan