Game on: il mondo dei videogiochi

mercoledì 9 maggio 2012


Quarta puntata della nostra breve "storia dei videogiochi". Dopo l'"età dell'oro" videoludica, arriva il crash del mercato. E lentamente gli home computer invadono un terreno di gioco riservatro, fino ad allora, alle console.

Il grande crollo del 1984

Nel 1984, improvvisamente, il pubblico americano (in Europa, il fenomeno si verificherà tra la fine del 1984 e l'inizio del 1985) smette di comprare le console di videogiochi. Per le centinaia di aziende entrate da pochissimo in questo mercato emergente si tratta di uno shock con conseguenze gravissime, sia finanziariamente che sotto il profilo occupazionale. Le cause di questa doccia fredda, che arriva senza alcun preavviso e lascia tutti impreparati, sono soprattutto due. La prima è l'avvento impetuoso degli home computer, macchine basate su microprocessori più potenti di quelli ospitati dalle console e capaci di far girare software di qualsiasi genere (oltre, natualmente, a videogiochi sempre più sofisticati). Il secondo motivo, invece, è strettamente collegato all'incredibile successo di vendita di sistemi come il Vcs 2600, l'Intellivision e il Colecovision.

Fiutato il "filone d'oro", un grande numero di imprese, senza alcuna esperienza nel settore dell'elettronica o in quello dell'entertainment, decide di sfidare la sorte. Venditori di dentifricio, di cibo per cani e di cerotti provano a produrre videogiochi per pubblicizzare le loro merci. Perfino la Quaker Oats, invece di concentrasi su qualità e prezzo dei propri cornflakes, giudica opportuno dar vita ad una divisione interna specializzata in videogiochi. Il risultato di questa indigestione è disastroso. Nel 99 per cento dei casi, infatti, si tratta di titoli orribili, che contribuiscono a soffocare un mercato ormai quasi saturo. Anche le sale-giochi risentono di questa involuzione. E non è un caso che gli arcade più popolari del 1984 siano titoli che hanno davvero poco a che fare con i videogiochi: Dragon's Lair e Space Ace, della Cinematronics fondata da Rick Dyer e dall'ex-disegnatore della Disney, Don Bluth, sono due interessanti esperimenti che sfruttano la tecnologia del laser-disc per garantire un'esperienza grafica identica ai cartoni animati, anche se troppo poco interattiva (in giochi come Astron Belt, Firefox e M.A.C.H. 3, invece, il laser-disc viene utilizzato soltanto per la realizzazione degli sfondi, mentre tutto il resto ha l'aspetto e la giocabilità di un videogame più tradizionale).

La crisi è così profonda che perfino Atari si trova in cattive acque, con i giochi per Vcs 2600 che vengono venduti a prezzo stracciato nei supermercati. L'azienda che ha inventato Pong, ormai controllata interamente dalla Warner, avrebbe anche l'occasione per uscire dalla palude, perché Nintendo - che ha appena sviluppato una console piuttosto potente, il Nintendo Entertainment System (Nes) - pensa proprio ad Atari per commercializzare il prodotto negli Stati Uniti. Atari rifiuta. E pagherà questa scelta a caro prezzo.

Home computing (1984-1987)

Nato in America e molto diffuso in Giappone, il mercato dei videogiochi viene sconvolto da un geniale ingegnere europeo, l'inglese Clive Sinclair. Dopo un brillante esordio nel settore delle radio a transistor, nel 1980 Sinclair "inventa" un kit di componenti elettronici, venduto per corrispondenza, che permette a chiunque di costruirsi un vero computer - lo ZX80 - tra le pareti di casa. Il prezzo, inferiore alle 100 sterline, è incredibilmente basso: il più economico dei personal computer dell'epoca, il Commodore PET, costava la bellezza di 730 sterline. E negli States, per il favoloso Apple II di Jobs e Wozniak, si potevano sborsare anche 2000 dollari. Le caratteristiche dello ZX80, però, sono inadeguate perfino per gli albori dell'informatica (la memoria totale del sistema è di 1 kilobyte e non esiste alcuna modalità grafica). Seguito nel giro di pochi mesi dallo ZX81 (con una memoria espandibile fino a 16K e la possibilità di registrare i programmi su una normalissima audiocassetta), il computer di Sinclair rappresenta comunque il primo passo di quella diffusione di massa dell'informatica che ancora oggi non accenna a rallentare.

Tra il 1981 e il 1982, escono macchine sempre più potenti in grado, tra l'altro, di garantire un certo livello di soddisfazione anche al videogiocatore più esigente. Dal 1983 in poi, gli home computer iniziano a rappresentare una valida alternativa alle console più in voga. In Europa la leadership di mercato è in bilico tra la tedesca Commodore - con il Vic20 e successivamente il potente C-64 - e la britannica Sinclair che, dopo lo ZX81, produce il minuscolo ma affascinante ZX Spectrum. Outsider di lusso, nel Vecchio Continente, sono il BBC della Acorn e l'Amstrad CPC-464. Negli Stati Uniti, invece, il primato della Commodore è insidiato da Atari - prima con i modelli 400 e 800, poi con la serie XL - e dal TI-99 della Texas Instruments. In Giappone, infine, spopolano gli home computers compatibili con lo standard Msx che vengono fabbricati e venduti da alcuni colossi dell'elettronica come (in ordine rigorosamente alfabetico) Canon, Goldstar, Hitachi, Jvc, Mitsubishi, Sanyo, Sega, Sony, Spectravideo, Toshiba e Yamaha.

Lo standard Msx, creato per contrastare lo strapotere europeo e statunitense nel mercato giapponese degli home computer, obbliga i costruttori a rispettare alcune caratteristiche specifiche (per garantire la compatibilità del software), ma lascia piena libertà nello sviluppo delle periferiche. Si tratta della stessa, buona idea, che pochi anni più tardi avrebbe portato i "pc compatibili" ad invadere il mercato. Ma lo standard Msx non riesce ad avere grande successo al di fuori dei confini giapponesi. Con l'esplosione del mercato degli home computer e il contemporaneo appannamento delle console, i titoli arcade di successo vengono sempre più spesso convertiti per gli le macchine più diffuse. E le case di software orientate eclusivamente verso l'utenza domestica - che hanno la possibilità di lavorare con macchine più potenti e soprattutto più versatili - esplorano sentieri creativi fino a quel momento rimasti dominio esclusivo dei possessori di grandi mainframe o, comunque, di computer da qualche migliaio di dollari.


di Andrea Mancia