venerdì 19 dicembre 2025
Come era ampiamente previsto dagli osservatori, la Banca centrale europea ha lasciato fermi i tassi di riferimento: al 2 per cento il tasso sui depositi, quello sui rifinanziamenti al 2,15 e quello sui finanziamenti marginali al 2,40. La Banca d’Inghilterra ha invece seguito la Federal reserve americana e ha ridotto i tassi di 25 punti base portandoli dal 4 per cento al 3,75 nonostante l’inflazione, sebbene in leggera flessione, registrata a novembre è stata del 3,2 per cento. L’inflazione media in Europa si è attestata a novembre al 2,1 per cento. In Italia invece la perdita di valore della moneta si è ridotta all’1,1 per cento e il sub indice relativo al cosiddetto “carrello della spesa”, che riguarda i prodotti alimentari e quelli per la casa, anch’esso si è ridotto al 1,5 per cento.
Lo spread tra i bund tedeschi con scadenza decennale e i corrispondenti buoni del Tesoro poliennali è intorno ai 65 punti base. È la migliore perfomance relativa ai tassi d’interesse nell’eurozona e premia il debito sovrano italiano più degli altri Paesi europei. Quando i tassi d’interesse di riferimento delle banche centrali (Fed e Bank of England) scendono rispetto a quelli della Bce, la moneta unica – euro – tende a rivalutarsi con effetti negativi sulle esportazioni europee ed italiane. Il 1 gennaio 2025 il rapporto di cambio tra l’euro e il dollaro si attestava a 1,035 mentre ieri occorrevano oltre 1,17 dollari per comprare un euro. Il dollaro statunitense, in poco meno di un anno si è svalutato di circa il 13 per cento rispetto all’ euro. Se si sommano i dazi doganali voluti dall’Amministrazione Trump (15 per cento) alla rivalutazione dell’euro del 13 per cento, i prodotti e i servizi europei esportati negli Usa costano alle imprese e ai consumatori americani il 28 per cento in più.
Ciò nonostante le esportazioni italiane verso il resto del mondo sono cresciute nel 2025 di circa il 3,5 per cento; grazie all’elevato standard di qualità dei nostri prodotti che si rivolgono ad un target di consumatori medio-alto. Con un’inflazione media in Europa del 2,1 per cento (il target fissato dalla Bce è del 2 per cento), la crescita asfittica del Pil medio in Europa e il forte apprezzamento dell’euro, c’erano le condizioni oggettive per ridurre il costo del denaro da parte della Bce; quantomeno per evitare un ulteriore rivalutazione dell’euro nei confronti del dollaro americano. Nelle condizioni date sull’inflazione che è decrescente anche per la contrazione del prezzo delle energia generata da fonti fossili (petrolio e gas), tenere un costo del denaro così alto non può non danneggiare l’economia europea e italiana.
Purtroppo, ormai la Banca centrale europea attua la sua politica monetaria basandosi sui dati dell’inflazione registrati dagli istituti di statistica. Pertanto, non è la Bce a decidere sull’andamento dei tassi d’interesse ma le decisioni vengono prese, ex post, in base ai dati degli istituti centrali di statistica. A questo punto potremmo affidare la politica monetaria direttamente a un algoritmo piuttosto ai super tecnici di Francoforte.
di Antonio Giuseppe Di Natale