venerdì 5 dicembre 2025
La trasformazione dei territori ucraini occupati in un laboratorio di controllo autoritario procede senza tregua, mentre la Russia cerca di cementare un’annessione che la popolazione locale non ha mai scelto. Nell’ottobre 2025 il Cremlino ha compiuto un passo decisivo: l’integrazione totale delle amministrazioni di Luhansk, Donetsk, Zaporizhzhia e Kherson nella Dashboard del governatore, la piattaforma digitale con cui Mosca sorveglia in tempo reale performance, budget e conformità dei funzionari pubblici. Ciò che potrebbe sembrare un semplice strumento amministrativo è in realtà un meccanismo di supervisione capillare che trasforma regioni ucraine vive, ferite e resilienti in distretti subordinati, costretti a eseguire ordini provenienti da centinaia di chilometri di distanza. Più che modernizzare la governance, il Cremlino sta digitalizzando il controllo politico, riducendo l’autonomia locale a una finzione. Questa integrazione tecnologica non è isolata: si inserisce in un progetto sistematico avviato fin dall’inizio dell’invasione su vasta scala, quando Mosca decise di smantellare pezzo dopo pezzo ogni istituzione ucraina nei territori occupati. L’obiettivo dichiarato è incorporare completamente queste regioni nel sistema giuridico russo entro l’inizio del 2026.
L’obiettivo reale, secondo gli abitanti costretti a viverlo, è cancellare identità, memoria, diritti e proprietà attraverso un apparato burocratico invadente e implacabile. Per questo, in appena tre anni, la Russia ha replicato nei territori occupati un’intera infrastruttura statale: tribunali, procure, uffici del Fsb, unità della Rosgvardija, ispettorati fiscali, uffici per l’immigrazione, registri immobiliari, fondi sociali. Tutto installato rapidamente, spesso con personale importato dalla Russia, senza alcun coinvolgimento della popolazione locale. Per consolidare la propria presa, Mosca ha imposto più di cinquanta leggi federali e oltre 1.700 atti normativi regionali, insieme a centinaia di decreti che regolano trasferimenti di proprietà e amministrazione municipale. In pratica, ha sostituito l’intero quadro giuridico ucraino con una ragnatela normativa pensata per rendere irreversibile l’annessione. Ha persino redatto costituzioni per le cosiddette “Repubbliche popolari” di Donetsk e Luhansk e statuti per le aree occupate di Zaporizhzhia e Kherson, costruendo governi regionali fittizi, fedeli al Cremlino. Le elezioni del 2023, organizzate sotto occupazione militare, hanno offerto solo una parvenza di legittimità a un sistema imposto con la forza. L’integrazione giudiziaria è stata centrale: a fine 2025 le regioni occupate contano un centinaio di tribunali e 570 giudici federali incaricati di far rispettare esclusivamente la legge russa, inclusi i casi di proprietà requisita. È questo, forse più di ogni altra cosa, a spaventare i residenti: sapere che ogni controversia – dalla casa ereditata ai conflitti di vicinato – viene decisa da un apparato che non riconosce più la loro cittadinanza ucraina né i loro diritti originari. In parallelo, il Fsb, la Rosgvardija e il Ministero degli Interni hanno stabilito presidi permanenti, non solo per “garantire l’ordine”, ma per soffocare qualunque forma di dissenso. La presa amministrativa procede altrettanto aggressivamente.
Il Servizio fiscale federale ha aperto più di sessanta uffici, integrando imprese e cittadini nei sistemi tributari russi. Le autorità migratorie hanno accelerato la passaportizzazione forzata: senza un passaporto russo, sempre più servizi diventano irraggiungibili. Anche Rosreiestr ha svolto un ruolo cruciale, registrando più di 1,3 milioni di proprietà ucraine come beni russi e facilitando sequestri giustificati da decreti sulla “proprietà abbandonata”. Case, terreni e aziende vengono spesso trasferiti a cittadini russi o a società statali, mentre più di 40mila imprese ucraine sono state costrette a registrarsi sotto normativa russa, molte delle quali ora gestite da dirigenti nominati da Mosca. Persino il welfare è stato trasformato in uno strumento di controllo. Dal 2023 il Fondo sociale russo gestisce pensioni e sussidi in tutte le regioni occupate. Oltre un milione e mezzo di residenti dipende da prestazioni erogate secondo criteri e requisiti imposti dall’occupante, tra cui registrazione e cittadinanza russa. La vulnerabilità sociale diventa così leva politica: per molti, adattarsi al sistema russo non è scelta, ma sopravvivenza. Eppure, dietro la facciata di efficienza autoritaria, emergono crepe profonde dovute alla scarsa collaborazione del personale locale e alla riluttanza di molti funzionari russi a trasferirsi in territori percepiti come pericolosi.
Il sistema sanitario soffre di carenze drammatiche, fino al 40 per cento, perché tanti medici ucraini rifiutano di lavorare per l’occupante, mentre molti russi non vogliono diventare strumenti dell’occupazione. Le scuole affrontano una crisi ancora più evidente: nell’oblast di Kherson, nell’ottobre 2025 mancavano circa 600 insegnanti e in diversi istituti i dirigenti sono stati sostituiti da personale privo di qualifiche, inclusi tecnici di laboratorio e custodi, con conseguenze gravi per l’istruzione dei bambini già traumatizzati dalla guerra. Le fragilità infrastrutturali aggravano ulteriormente la situazione della popolazione locale. Le continue interruzioni di acqua ed elettricità, dovute alla mancanza di tecnici qualificati e alla scarsa manutenzione, colpiscono migliaia di famiglie. Nella cosiddetta Dpr la crisi idrica, anziché attenuarsi, è peggiorata, mostrando quanto poco l’occupazione abbia investito in ripristino e sviluppo, preferendo concentrare risorse sulla costruzione del proprio apparato coercitivo. Dal 2022 a oggi, la Russia ha messo in piedi un ecosistema di controllo che non si limita a governare: punta a modellare la vita quotidiana, la memoria e perfino l’identità dei cittadini delle aree occupate. Per l’Ucraina e per i suoi partner occidentali, liberare questi territori significherà non solo porre fine alla presenza militare russa, ma anche smantellare un complesso apparato amministrativo pensato per recidere ogni legame con Kyiv e rendere permanente l’annessione. Il popolo ucraino, che in queste regioni continua a resistere in condizioni difficilissime, merita che il mondo comprenda fino in fondo la natura profonda di questa trasformazione imposta: un sistema costruito non per amministrare, ma per sradicare.
(*) Docente universitario di Diritto internazionale e normative per la sicurezza
di Renato Caputo (*)