mercoledì 3 dicembre 2025

Per anni il Cremlino ha indicato la corruzione come la prova definitiva del fallimento ucraino, ma l’ultimo scandalo esploso a Kyiv svela un paradosso inquietante: mentre Vladimir Putin accusava Kyiv di essere “irrimediabilmente corrotta”, gli apparati di intelligence russi costruivano pazientemente una rete destinata a erodere dall’interno le istituzioni ucraine. È quanto emerge dall’indagine congiunta del Nabu e del Sapo, che da oltre un anno seguono una pista delicatissima per la sicurezza nazionale: fondi destinati alla protezione degli impianti nucleari sarebbero stati sottratti e riciclati attraverso un sistema collegato ad Andrii Derkach, ex deputato ucraino e oggi senatore della Federazione russa. Nel centro di Kyiv, all’interno di un ufficio riconducibile alla sua cerchia familiare, gli investigatori hanno trovato documenti dei servizi russi, un dettaglio che più che un indizio è la conferma di un meccanismo rodato, una rete di coperture, appalti truccati e società di facciata perfettamente integrate nelle strategie ibride del Cremlino.
Per capire l’architettura dell’operazione basta guardare alla biografia di Derkach. È cresciuto in una famiglia del Comitato per la Sicurezza dello Stato (Kgb) durante l’Unione sovietica. Suo padre, Leonid, ha lavorato nel Kgb sovietico ucraino dal 1972, quando si verificò un importante pogrom contro il dissenso e la cultura ucraina, fino al crollo dell’Unione sovietica tra la fine del 1991 e l’inizio del 1992. Leonid Derkach ha poi ricoperto la carica di presidente del Servizio di sicurezza dell’Ucraina (Sbu) dal 1998 al 2001. È stato rimosso dall’Sbu a causa dello scandalo che circondava l’omicidio del giornalista Georgi Gongadze nell’autunno del 2000, e dopo che una registrazione del luglio 2000 ha mostrato il suo coinvolgimento nella vendita di quattro radar Kolchuga all’Iraq, che all’epoca era soggetto a sanzioni internazionali. Andrei Derkach prestò servizio presso il Kgb sovietico e il Servizio di sicurezza federale russo (Fsb) a Mosca dal 1990 al 1993. Fu poi deputato parlamentare per il partito filo-russo “Per un’Ucraina unita”, il Partito socialista, il Partito delle regioni e uno dei suoi successori, "Volontà del Popolo”.
Il governo di Yuliya Tymoshenko nominò Derkach presidente di Energoatom nel 2006. Per anni, l’intero settore nucleare ucraino è stato sotto il completo controllo di una rete di agenti del Fsb, creata da Derkach nel 2006. Derkach ha tentato di assoggettare l’industria nucleare ucraina alle strutture del Cremlino. Gli Stati Uniti lo avevano individuato da tempo: nel 2020 il Dipartimento del Tesoro lo definì “un agente russo attivo da oltre un decennio”, una formula che oggi appare quasi un eufemismo se si considera che, dopo l’invasione del 2022, Derkach è fuggito in Russia, ha ottenuto la cittadinanza e nel 2024 è diventato senatore, con un posto nella Commissione difesa. Secondo l’Sbu, avrebbe ricevuto milioni dal Gru, il servizio di intelligence militare russo responsabile delle operazioni clandestine all’estero, per creare società di sicurezza da utilizzare nell’avanzata delle truppe russe, segno che il suo ruolo andava ben oltre la mera intermediazione politica.
La macchina di Derkach, in questo quadro, appare come una versione particolarmente avanzata di questo metodo: attorno a lui si muoveva una rete complessa composta da Timur Mindych, considerato il regista economico del network, da influencer, politici e imprenditori filorussi come Anatolii Sharii, Taras Kozak, Oksana Marchenko, Andrii Portnov, Ihor Kolomoysky e da figure mediatiche come il giornalista Nazar Diorditsa. Secondo InformNapalm, Mosca avrebbe utilizzato Derkach anche per operazioni di disinformazione all’estero: le registrazioni manipolate diffuse nel 2020, che simulavano conversazioni compromettenti tra Petro Poroshenko e Joe Biden, erano parte di una campagna per incrinare i rapporti tra Washington e Kyiv, presentando l’Ucraina come un Paese marionetta degli Stati Uniti. A collegare questa rete agli interessi economici del Cremlino sarebbe stato Dmytro Firtash, per anni uno dei principali interlocutori di Mosca a Kyiv e descritto dalle autorità statunitensi come vicino alla criminalità organizzata russa e legato al boss Semyon Mogilevich; secondo gli inquirenti, il suo ruolo sarebbe stato decisivo nel fornire il sostegno economico necessario alla struttura di Derkach.
Ed è proprio in questo quadro che emerge il paradosso più clamoroso: Putin accusa Kyiv di corruzione per delegittimarne la leadership, ma è stato proprio il Cremlino a finanziare e alimentare per anni una delle reti di corruzione più ramificate del Paese. Mosca ha gridato allo scandalo mentre era essa stessa il corruttore. L’inchiesta su Derkach non rivela soltanto la responsabilità di un singolo uomo, ma smaschera un progetto politico sistematico con cui la Russia ha cercato di indebolire Kyiv dall’interno mentre la combatteva sul campo di battaglia; fare luce su questo sistema non significa dunque soltanto perseguire reati economici, ma difendere la sovranità dell’Ucraina da uno degli attacchi più sottili, persistenti e pericolosi portati avanti da Mosca.
Questo sistema, però, non è affatto un’eccezione riservata all’Ucraina: è parte integrante della guerra ibrida che Mosca conduce da anni contro le democrazie, utilizzando corruzione, ingerenze finanziarie e reti di influenza come strumenti per destabilizzare governi e manipolare processi politici. Gli esempi documentati non mancano. In Moldova, per anni, il Cremlino ha finanziato il partito filo-russo guidato da Ilan Shor, oggi latitante, utilizzando denaro contante e schemi di riciclaggio per condizionare le elezioni e innescare proteste pilotate; in Montenegro, nel 2016, l’intelligence russa orchestrò un tentativo di colpo di Stato con la complicità di politici locali corrotti per impedire l’ingresso del Paese nella Nato – un caso accertato dalle autorità montenegrine e confermato da intelligence occidentali; in Bulgaria, reti legate ai servizi russi hanno agito per anni nel settore energetico, alimentando pratiche corruttive e influenzando decisioni strategiche; in Germania, il BfV (Bundesamt für Verfassungsschutz) – il servizio di sicurezza interna tedesco – ha documentato tentativi di finanziamento occulto e flussi di denaro verso ambienti filo-russi; persino la Repubblica Ceca, nel 2021, ha espulso personale diplomatico russo dopo aver accertato che operazioni del Fsb e del Gru miravano a infiltrare e corrompere strutture politiche e imprenditoriali sensibili.
In tutti questi casi, lo schema è sempre lo stesso: usare la corruzione come arma, non solo per comprare alleati locali, ma per degradare la fiducia dei cittadini nelle istituzioni democratiche e creare spazi di instabilità che Mosca può sfruttare a proprio vantaggio. L’Ucraina è stata solo uno dei terreni più esposti e vulnerabili, ma la strategia è globale, coerente e deliberata.
(*) Docente universitario di Diritto internazionale e normative per la sicurezza
di Renato Caputo (*)