Ora Berlino si prepara alla pace armata

lunedì 1 dicembre 2025


A Berlino, dietro le mura anonime delle Julius-Leber-Kaserne, un complesso militare dalla pianta triangolare nel cuore della capitale tedesca, circa due anni e mezzo fa una dozzina di alti ufficiali del Bundeswehr si riunì per scrivere un piano militare classificato per la difesa del territorio Nato in caso di aggressione russa. Nacque così un documento colossale da 1.200 pagine, noto come Operation Plan Germany o, nel gergo militare, OPLAN DEU, una sigla che oggi è sulla scrivania di chi deve tradurre la svolta annunciata dal cancelliere Olaf Scholz nel 2022 – il fondo straordinario da 100 miliardi e la cosiddetta “zeitenwende” – in un processo concreto che ridefinisce il ruolo della Germania. Non più Stato di prima linea, ma hub logistico essenziale in qualunque scenario di crisi a est.

Nel piano l’enfasi non è sull’attacco, ma sulla capacità di muovere rapidamente e in sicurezza un flusso enorme, stimato in 800.000 soldati tra truppe tedesche, statunitensi e alleate, attraverso porti del Mare del Nord e del Baltico, fiumi, ferrovie e rete stradale. L’obiettivo cardine è garantire mobilità, rifornimenti, protezione e continuità. I convogli Nato dovrebbero attraversare il Paese come un unico blocco, senza fermarsi ai semafori, senza permettere l’inserimento di veicoli civili. Perché nella guerra moderna le retrovie e la logistica contano quanto – se non più – delle armi schierate.

L’invasione su larga scala dell’Ucraina nel 2022, con l’attacco russo arrivato fino alle aree più esposte del fronte orientale, ha spazzato via la percezione di un continente al riparo dalla storia. Kyiv, capitale simbolo della resistenza ucraina, è diventata la lente attraverso cui leggere la nuova postura europea. Ma quella lente riflette anche fragilità tedesche accumulate nel tempo.

Oggi circa il 20 per cento delle autostrade e oltre un quarto dei ponti tedeschi richiedono riparazioni urgenti. I porti del Nord necessitano di interventi per 15 miliardi di euro, con 3 miliardi destinati a rinforzi dual-use per sostenere i convogli pesanti. Anche opere costruite durante la guerra fredda, come i tratti della A44 usati allora come piste d’atterraggio d’emergenza, non sono sempre pienamente operative o affidabili per impieghi militari.

Gli incidenti sul fiume Hunte lo hanno dimostrato in modo emblematico. Il 25 febbraio 2024 la nave cargo olandese Rapida speronò un ponte ferroviario, interrompendo per settimane l’unica linea che collegava il porto di Nordenham. Quel porto era allora l’unico terminal del Nord Europa con licenze complete per spedire munizioni alle forze ucraine. Lo stop obbligò il comando Usa a deviare i rifornimenti verso un porto polacco. Per settimane, le consegne subirono ritardi critici. Senza sabotaggio, ma con un’infrastruttura unica fuori uso. È bastato quello.

A settembre 2024, ad Amburgo, l’esercitazione “Red Storm Bravo” ha confermato che anche la preparazione più sofisticata deve scontrarsi con attriti pratici. La simulazione prevedeva 500 truppe Nato sbarcate al porto, 65 veicoli diretti a est, minacce simulate da droni e proteste. I manifestanti, riservisti, si incollavano sull’asfalto come parte della simulazione. Le regole d’ingaggio vietavano ai militari di intervenire. La polizia, che doveva rimuoverli, non aveva solventi adeguati. Il convoglio restò fermo due ore. Percorse appena 6 miglia. Un dettaglio micro che in una crisi reale potrebbe rallentare enormemente l’intero flusso.

Nel frattempo il settore privato è entrato stabilmente nella pianificazione della resilienza. Rheinmetall ha firmato un accordo da 260 milioni di euro per sviluppare logistiche modulari di supporto ai convogli Nato. La simulazione condotta nell’autunno 2024, con un campo per 500 soldati e 48 docce allestito in 14 giorni e smontato in 7, ha mostrato però limiti concreti: terreni frammentati, lotti non contigui, spostamenti obbligati in bus. In guerra, anche il terreno conta quanto il tempo.

Accanto agli interventi infrastrutturali, ci sono altri aspetti su cui riflettere. I produttori di Quantum Systems, uno dei grandi poli tedeschi della sorveglianza drone, hanno consegnato centinaia di droni a Moldova e Romania. In Ucraina, migliaia di apparecchi decollano ogni giorno sulla direttrice di Kyiv e sul fronte. Ma il Bundeswehr ne ha acquistati solo 14 finora, anche per via di normative restrittive: in Germania i droni militari non possono ancora essere impiegati su aree urbane e devono avere luci di posizione. Regole sensate per l’aviazione civile, ma penalizzanti in ambito militare.

I segnali di minaccia intanto crescono. A ottobre 2024 un tribunale di Monaco di Baviera ha incarcerato un uomo accusato di voler sabotare ferrovie e installazioni militari per conto della Russia. La Polonia ha denunciato esplosioni sulle linee ferroviarie orientali attribuite a Mosca. L’intelligence tedesca ha condotto quasi 10.000 controlli sui dipendenti delle infrastrutture critiche in un solo anno. Governi e apparati di sicurezza guardano al 2029 come possibile orizzonte di minaccia russa alla Nato. Ma tra sabotaggi, cyber-attacchi e intrusioni aeree, la percezione del rischio potrebbe accorciarsi.

La scommessa di Berlino non è preparare la guerra, ma rendere la pace più solida, anche attraverso la deterrenza credibile del sistema. Perché, come ripetono gli autori del piano, la deterrenza non vive nei numeri delle armi. Vive nella resilienza reale del Paese. Nelle leggi da aggiornare. Nelle procedure da riscoprire. Nella facilità di esecuzione logistica. E, soprattutto, nella comprensione sociale dell’urgenza.

Da quando l’invasione su larga scala dell’Ucraina lanciata da Mosca nel 2022 ha spazzato via decenni di stabilità europea, vi è un impegno costante per mantenerlo attuale e implementarlo. Non per combattere, ma per scoraggiare. Non per muovere offensiva, ma per muovere credibilità.

In tre parole, come sintesi morale e operativa: ora Berlino si prepara alla pace armata. Con la speranza, sempre dichiarata, che quelle 1.200 pagine restino un atto di realismo e mai un manuale da dover attuare davvero.

(*) Docente universitario di Diritto internazionale e normative per la sicurezza


di Renato Caputo (*)