venerdì 28 novembre 2025
La missione di Viktor Orbán a Mosca segna un nuovo e significativo passo nella sua strategia di dialogo diretto con il Cremlino. Il primo ministro ungherese è arrivato nella capitale russa per colloqui sull’energia con Vladimir Putin, un gesto sempre più raro per un leader europeo mentre il conflitto in Ucraina continua a ridefinire gli equilibri del continente. Si tratta del secondo viaggio a Mosca in meno di due anni per Orbán, considerato la figura più vicina a Putin tra i Ventisette.
Il contesto della visita è reso ancor più delicato dalle dichiarazioni rilasciate ieri dal presidente russo durante una conferenza stampa in Kirghizistan. Oltre a discutere delle proposte sul piano di pace, del ritiro ucraino dal Donbas e del ruolo del presidente Volodymyr Zelensky, Putin ha affrontato una serie di temi connessi al deterioramento dei rapporti con l’Occidente. Ha respinto l’idea che l’inviato americano Steve Witkoff sia filorusso e annunciato che Mosca sta preparando un pacchetto di misure di ritorsione qualora l’Europa decidesse di confiscare i beni russi, una scelta che a suo giudizio rappresenterebbe “un furto” e avrebbe un impatto negativo sulla finanza globale. Il presidente russo si è inoltre detto disposto ad avviare un confronto con Washington sulla stabilità strategica, includendo anche i test nucleari, e ha negato ogni perdita di ruolo del ministro degli Esteri Sergei Lavrov. Sul terreno militare, il messaggio di Putin resta chiaro. Ha ribadito che i combattimenti si fermeranno soltanto quando le forze ucraine si ritireranno dalle posizioni in quelle aree chiave della regione del Donbas mai occupate dai russi; in caso contrario, l’esercito russo “raggiungerà i suoi obiettivi con la forza”. E ha aggiunto che il ritmo dell’avanzata in tutte le direzioni sta “aumentando notevolmente”.
Si parla di pace ma spirano venti di guerra, e quindi la Germania si starebbe preparando in segreto nell’eventualità di un attacco russo. A Berlino, secondo quanto rivelato dal Wall Street Journal, i vertici militari lavorano da due anni e mezzo al cosiddetto Piano operativo Germania: un dossier di 1.200 pagine che ipotizza le mosse da attuare in caso di un’aggressione russa. Il documento – denominato Oplan Deu nel linguaggio militare – è stato elaborato da un gruppo ristretto di ufficiali all’interno della caserma Julius Leber, a partire dal febbraio 2022, quando Mosca ha dato il via all’invasione su larga scala dell’Ucraina. Il piano prevede la mobilitazione fino a 800mila militari tedeschi, statunitensi e della Nato verso il fronte orientale. Le mappe contenute nel dossier indicano porti, fiumi, infrastrutture ferroviarie e stradali cruciali per gli spostamenti, insieme ai percorsi dei rifornimenti e alle misure di sicurezza necessarie nel territorio tedesco.
Le esercitazioni legate all’Oplan sono già iniziate. La Rheinmetall – aggiudicataria di un appalto da 260 milioni di euro del Ministero della Difesa – ha allestito in tempi record un campo temporaneo per 500 soldati: dormitori, 48 docce, stazioni di servizio, una cucina da campo, droni di sorveglianza e un sistema di sicurezza con guardie armate schermate da interferenze russe e cinesi. Sono stati necessari appena 14 giorni per montarlo e sette per smontarlo. L’operazione ha però evidenziato criticità logistiche, come l’irregolarità del terreno o l’assenza di strutture a doppio uso, smantellate dopo la guerra fredda. Ostacoli emergono anche sul piano burocratico: le norme su appalti, privacy e regolamenti civili, eredità di un’epoca di pace, risultano incapaci di sostenere un eventuale stato di emergenza. Berlino sta provando a colmare queste lacune. Il primo passo è stato il ritorno alla coscrizione – al momento non obbligatoria – mentre sul piano infrastrutturale si punta a modernizzare la rete stradale e ferroviaria, oggi in larga parte obsoleta. Entro il 2029 il governo prevede investimenti per 166 miliardi di euro, di cui oltre 100 dedicati alle ferrovie e una quota significativa destinata a infrastrutture a doppio uso. A questo si sommano i programmi di riarmo avviati dopo l’invasione dell’Ucraina, quando Olaf Scholz annunciò il fondo speciale da 100 miliardi, definendolo un “cambiamento epocale”.
di Zaccaria Trevi